NAPOLI – Classe ’63, primo giorno di scuola il 1° ottobre 1969. Di quella data non ho un ricordo nitido, anche perché non fu traumatico per me. La mia mamma non volle portare me e mia sorella all’asilo per cui avevo già sei anni quando feci il mio debutto ufficiale in società tra i pari. Più piccola di tre anni di mia sorella, il primo giorno di scuola fu un punto di arrivo e di partenza atteso e desiderato. La mamma, che non era avvezza alle moderne tesi pedagogiche, mandò a scuola le sue figliolette che già sapevamo scrivere e leggere per cui il primo anno fu noioso e poco attrattivo se non per il fatto di dimostrare la mia bravura per una esercitazione anticipata. Classe numerosa di tutte femmine, così si portava allora, grembiule bianco e fiocco rosso in tinta con i fiocchetti alle lunghe trecce che con pazienza la mamma intrecciava tutte le mattine.
L’odore dei quaderni nuovi, l’astuccio con i colori rigorosamente Giotto che facevano gola alle compagne a cui prestavo volentieri con l’ira di mia madre per averli consumati troppo presto. Una maestra unica e dolcissima: Delia Basile, un nome che non ho più dimenticato e così il suo volto. Aveva un compito facilitato con noi bambine, tutte diligenti ed ossequiose da un’educazione oggi perduta e con genitori sempre dalla parte dei maestri anche quando avevano torto, ma portavano la ragione di essere adulti e andavano rispettati a prescindere.
Per il lavoro di mio padre, appuntato dei Carabinieri, soggetto a trasferimenti, in realtà ho avuto almeno altri due primi giorni più traumatici di quello canonico: il primo è stato il passaggio dalla città in un paesino dei monti Lattari all’ultimo anno delle elementari. Lasciata la mia amata maestra e le mie compagne, fui catapultata col mio fiocco tricolore in una classe mista e con un maestro burbero e corrucciato con metodi intimidatori che andavano dalla bacchetta corta a quella più lunga da cattedra ad un’altra più lunga per quando si era alla lavagna. Carota e bastone per i compagni, soprattutto per i maschietti a dire il vero, più ostinati ad apprendere. Si era diligenti per timore. Bimba io, impaurita e timorosa, fu quello il primo giorno impresso nella mente.
Per alchimia dei bambini trovai subito accoglienza tra i miei compagni che divennero gli amici con cui condividere l’intero giorno come solo i paesini possono offrire ai piccoli. Riuscii a conquistare anche il maestro un giorno che ci raccontò delle rondini che in inverno vanno via dai paesi sempre caldi per ritornare da noi in primavera. Allora io timidamente, ma decisa a soddisfare una mia curiosità di un aspetto che non mi tornava, alzai la mano per chiedere al maestro il perché queste rondini si prendessero la briga di un lungo viaggio visto che si trovavano già in un paese sempre caldo. Sta di fatto che, vuoi che forse il maestro fu preso in contropiede non sapendo rispondermi, pubblicamente cominciò a tessere le mie lodi e la mia arguta intelligenza a discapito dei miei ignavi compagni che per questo subirono una bacchettata di massa. Da allora, comunque, campai di rendita, anche se non sempre protetta tanto da scansare le bacchettate di classe che toccavano a tutti per motivazioni più varie ed insane. Una per tutte bacchettò la classe perché alcuni erano stati a Roma da parenti a mangiare e non avevano visitato il Colosseo, ed io che a Roma non c’ero ancora stata dovetti in egual modo ricevere la bacchetta, se pur leggera, sulla mano. Ricordo ancora il profondo senso di ingiustizia per il torto subito: piansi tutto il pomeriggio e, ovviamente, i miei non si sognarono proprio di recriminare al maestro i suoi metodi alquanto discutibili.
L’altro primo giorno per me terribile fu al mio ritorno in città al terzo liceo a Napoli. Scorci degli anni ’70 dove ancora imperversavano lotte ideologiche politiche tra giovani di sinistra e giovani di destra che se le davano di santa ragione. Io, ragazza ormai di paese dalle schiocche rosee, non avevo minimamente idea di cosa fosse la lotta politica, fin dall’anno precedente nella mia aula sul Duomo di Amalfi, la nostra lotta politica era contro il pescivendolo sotto a cui arrivavano i nostri cuppitielli di carta. Due sezioni, 14 in classe e 9 nell’altra: il preside ci conosceva tutti, mai uno sciopero se non un tentativo di filone per una gita a Capri naufragata per il mare grosso e come conseguenza di questa insubordinazione, una giunta esecutiva straordinaria per la mia classe.
Ritrovarmi tra scioperi, occupazioni e il caos cittadino fu per me il vero trauma da primo giorno che oggi ringrazio per avermi, in parte, svezzata alla realtà rimpiangendo sempre la bambagia e la spensieratezza della scuola in un luogo privilegiato. Di primi giorni la vita ce ne offre continuamente, siamo sempre in tensione e sotto esame ed ogni anno è un nuovo inizio e questa adrenalina dà sapore e senso al nostro vissuto e chissà il perché del lungo viaggio delle rondini in primavera…
Angela Ristaldo
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