VITERBO – Per uno sviluppo sostenibile gli alberi da soli non bastano, ci vogliono anche le foreste naturali. Ovverossia copertura arborea e forestale non sono la stessa cosa in quanto la prima comprende anche gli impianti di alberi in sistemi agricoli e urbani.
In un saggio in corso di stampa sulla rivista scientifica Conservation Biology, il professor Alessandro Chiarucci, dell’Università di Bologna, e il professor Gianluca Piovesan, dell’Università della Tuscia, chiedono alla comunità scientifica internazionale e ai decisori politici mondiali di dotarsi anche di una mappa globale sul livello di naturalità delle foreste e di progettare adeguati spazi di rewilding (reintroduzione) in ogni ecoregione per le foreste vetuste del futuro.
Sono proprio di questi giorni le terribili immagini di enormi aree forestali che stanno bruciando in Siberia e in Amazonia, i polmoni verdi della Terra, e in altre zone del globo,. Incendi e distruzioni che accelerano i cambiamenti climatici e rischiano di portare il pianeta nel giro di un secolo al collasso degli ecosistemi.
“L’umanità deve adottare da subito strategie globali se vuole assicurare la permanenza della vita sul Pianeta per come la conosciamo adesso”, afferma il professor Gianluca Piovesan.
La comunità scientifica internazionale già da qualche anno discute sulle possibili soluzioni. Non tutte le ipotesi d’intervento vanno nella stessa direzione, le soluzioni al grave problema sono variegate ma su una cosa scienziati, tecnici e studiosi sono concordi: la protezione e il restauro delle foreste è elemento fondamentale per la mitigazione dei cambiamenti globali. E punti di disaccordo ci sono anche sulla stessa definizione di foreste, come misurarle e come gestirle in modo sostenibile. “Le tendenze più in voga – evidenzia Alessandro Chiarucci – prevedono di misurare l’estensione forestale attraverso la copertura arborea, facilmente mappabile con strumenti satellitari ma alcuni ricercatori evidenziano, tuttavia, come una foresta sia molto di più di un semplice assemblaggio di alberi”. Sono in molti, infatti, a sottolineare come siano le foreste mature e vetuste, grazie alle dinamiche naturali, ad avere proprietà e funzioni complesse utili per la mitigazione dei cambiamenti climatici e la conservazione della biodiversità che non possono essere riprodotte da piantagioni di alberi o foreste secondarie sottoposte periodicamente a disturbi antropici.
“E’ necessario produrre al più presto una mappa globale delle foreste con diverso grado di naturalità (foreste intatte, vetuste, in “rewilding” e gestite) – afferma Piovesan – e questa mappa dovrebbe servire come misura di base per misurare i trend futuri, anche se nella scala di tempo umana le foreste a maggior grado di naturalità potranno, purtroppo, solo diminuire”. Chiarucci e Piovesan sono inoltre concordi nell’evidenziare quanto sia necessario individuare e proteggere tutte le foreste intatte e vetuste rimaste, responsabilizzando l’umanità verso la loro conservazione integrale. Con una proposta: “Una certa proporzione delle foreste utilizzate, almeno il 20%, andrebbe lasciato in ciascuna regione biogeografica ai processi di dinamismo naturale, un rewilding che garantirebbe la progressiva genesi di foreste pienamente funzionali”. I due docenti universitari non hanno dubbi, “conservare e ricostituire le foreste naturali significa garantire la preservazione di quella biocomplessità con i connessi processi ecologici che è alla base della vita sul pianeta e del mantenimento del suo stato di “omeostasi” funzionale”.
Nella foto di copertina la faggeta vetusta della valle Cervara nel Parco nazionale d’Abruzzo, patrimonio Unesco; nella foto a destra la Riserva naturale della foce del Crati, uno dei rari lembi di foresta mista planiziale in dinamica naturale (rewilding) nel bacino del Mediterraneo; a sinistra le pendici del Pollino con pini loricati millenari, uno degli ambienti più vasti di rewilding ecologico nelle montagne del Mediterraneo.
Lascia un commento