VITERBO – Renato Carosone è stato uno dei primi ad irridere il processo di americanizzazione che si stava diffondendo nell’Italia del dopoguerra, attraverso gli anglicismi infatti la canzone “Tu vuò fa’ l’americano”, che sembrava una canzonetta sarcastica, una provocazione cantata, si è rivelata profetica e a sessant’anni di distanza è diventata realtà. Innumerevoli parole anglosassoni sono entrate a far parte del nostro vocabolario. Da flat tax a jobs act, da spending review a premier, da mobbing a stalking oltre a vip, weekend, partner, computer, killer, day hospital, smartphone, happy hour, low cost, all inclusive, fashion, web, tablet, snack, feedback, hall, top, location… Un fenomeno da non sottovalutare perché “la nostra lingua è un bene comune”, che rappresenta la nostra storia, le nostre radici, ciò che ci identifica e ci accomuna.
A quanti di noi è giunto il messaggio della compagnia telefonica: “Il report con le tue performance del mese è online”? Ormai, non ci si fa più neanche caso ai termini utilizzati: “report”, “performance”, “online”. Anglicismi inutili quando si potrebbe dire semplicemente che in Rete si trovano i consumi del cellulare; nel nostro Paese, sempre più spesso le persone si informano, viaggiano, pagano pedaggi, bollette e tasse, lavorano, si tengono in forma, giocano e mangiano in itanglese. In questa strana lingue si legifera, si delibera e si diffondono precetti. questo non va bene perché difendere la nostra identità e l’autodeterminazione della lingua italiana è un nostro dovere.
L’uomo si è sempre definito facendo riferimento alle cose che per lui hanno maggior significato. Si autodefinisce in termini di progenie, religione, lingua, storia. Scegliendo l’itanglese, ci stiamo perdendo per strada molte parole italiane utili a nominare concetti, oggetti e azioni della quotidianità (perché mai, raccontando e promuovendo i prodotti del territorio, scriviamo sempre più spesso food e wine invece di cibo e vino? Perché un pranzo leggero è un light lunch? Perché dobbiamo compilare un forum e non un modulo?). Stiamo rinunciando a dotarci di parole utili a nominare concetti, oggetti e azioni della modernità: perché mai il ministero non esplicita che le soft skills, così importanti per il futuro dei nostri ragazzi, non sono altro che competenze trasversali (capacità di capire e risolvere problemi, di entrare in relazione, di guidare le persone, di lavorare in gruppo)?
Ci stiamo perdendo parole utili a trasmettere sfumature importanti per la comprensione. Chi, per esempio, parla di location, intende indicare una località, un sito, una posizione, un indirizzo, una sede, un edificio, un ambiente, una sala? La cosa certa è che raramente userà il termine nella sua accezione originale: gli esterni scelti per effettuare una ripresa cinematografica o televisiva. L’inglese è una lingua svelta, comoda e cosmopolita, questo è vero ma scegliendo l’itanglese perdiamo il vantaggio del capirci bene quando comunichiamo. E questo è grave. Un Ti amo sussurrato dolcemente all’orecchio dell’amata o dell’amato è meglio di un I Love You. Pensiamoci perché l’italiano è una lingua romantica. Come lo sono anche gli italiani, del resto: l’italiano è la lingua più romantica del mondo. Una lingua dolce, che coccola parola dopo parola, senza mai diventare autoritaria, ma rivolgendosi sempre al cuore.
Chi sceglie di imparare l’italiano lo fa con la consapevolezza che è la lingua più bella del mondo. Una lingua di piacere, del cuore, dell’amore e della passione, che esprime, vocabolo dopo vocabolo, stati d’animo ed emozioni. Un linguaggio che dona felicità. È una lingua “sexy” per antonomasia, la più sexy d’Europa. Non è un caso l’italiano è la quarta lingua studiata al mondo. Piace e piace sempre di più. Piace perché la sua cadenza incanta e conquista, perché è trascinante e unisce la passionalità dello spagnolo e la seduzione del francese. E perché riporta alla mente grandi storie d’amore, città delle quali cadere innamorati, come Roma, Venezia o Firenze, panorami, albe e tramonti di fronte ai quali nessuno resisterebbe al richiamo della passione. l’accento italiano conquista per i suoi suoni e i suoi vocalizzi senza filtro, che rispecchiano la storia del Bel Paese.
L’italiano parla dritto al cuore per tanti motivi. Linguistici, prima di tutto. Pensiamo al nostro accento e al suono morbido delle parole dedicate all’amore. Ti amo, ti voglio bene, amore… È una lingua che a ogni parola associa sonorità che sembrano quasi cantate. Come dolci melodie che arrivano a colpire i tasti più profondi della nostra anima. Una lingua che si presta bene al cantato, come si prestavano le rime e le strofe dei grandi poeti italiani, che sembravano cantilene, canti narrativi, dove la bellezza era sempre grande protagonista. È come se ogni poesia fosse una serenata da fare all’amata. L’amata che non si accorgeva del povero poeta e del suo amore profondo, come Beatrice con Dante o Silvia con Leopardi. O l’amata che condivideva sentimenti e struggimento per un’unione magari impossibile. È la lingua inventata dai poeti. Le parole in italiano hanno un suono melodico. Lo hanno sempre avuto. Anche quando l’italiano non esisteva ancora. O meglio, non esisteva l’italiano che conosciamo oggi. Il merito è del fatto che l’italiano è stato di fatto inventato da poeti e scrittori, che sapevamo come rendere bella ogni frase.
Se raccontata in italiano la storia ha sicuramente tutto un altro sapore. Dal latino al volgare italiano, il passo non è stato breve. Nel XIII secolo alcuni artisti della parola scelgono questa lingua ancora non raffinata, lontana dall’elegante latino e più vicina al parlato. Dalla Divina Commedia di Dante Alighieri (“Amor, ch’a nullo amato amar perdona“) alle poesie di Francesco Petrarca, passando per la prosa di Giovanni Boccaccio le parole sono diventate strumento per raccontare emozioni con metafore e similitudini che sono un piacere da ascoltare. Di una lingua così non puoi che innamorarti. Ed è curioso il fatto che gli italiani abbiano avuto una lingua che li univa ancor prima di essere uniti come paese. Una stranezza tutta nostrana. Ed ecco che, allora, l’italiano letterario e l’italiano parlato sono rimasti gli idiomi della lingua una lingua che è stata capace anche di raccontarci altre grandi storie d’amore. I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni ne sono un esempio tanto è vero che sin dall’inizio si viene rapiti da parole che sono una carezza per le nostre orecchie.
“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura, tra un promontorio a destra, e un’ampia costiera dall’altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all’occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l’Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascia l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni” non sembra la descrizione mera di un luogo. È un inno alla sua bellezza, che parola dopo parola ci consente di ricreare immagini del bel paese nella nostra mente. È la lingua che parla dell’amore per le cose belle. È amore in senso lato quello che la lingua italiana racconta. Per le cose belle della vita. E noi in Italia ne abbiamo tante di bellezze. Ma stentiamo a valorizzarle. Ogni lingua ha il suo stile. E la sua utilità. Il tedesco è il tono autoritario usato anche per addestrare i cani. Il francese è un linguaggio mieloso, cadenzato. L’inglese è la lingua universale per eccellenza, legata anche al business e alla tecnologia. E l’italiano? L’italiano è la lingua dell’amore, quello eterno e drammatico di Romeo e Giulietta, la storia d’amore per eccellenza. Appassionata, misteriosa, struggente, straziante, vera, indimenticabile. Ambientata da William Shakespeare, proprio nella nostra Verona. Ovviamente, ciascuno resta libero di usare le parole che meglio crede ricordando, però, che parlare più di una lingua è un grandissimo vantaggio, ma che conoscere le lingue, a cominciare dalla propria, significa usarle in modo adeguato a comunicare efficacemente per cui, quando si tratta di parlarci e capirci fra noi, che condividiamo l’italiano come lingua madre, la scelta dovrebbe essere ovvia: meglio in italiano. La nostra lingua è un bene comune. È un patrimonio di cultura, di bellezza, di storia e di storie, di idee e di parole che appartiene a tutti noi, che vale, che ci identifica e che ci aiuta a esprimerci pienamente come individui, come cittadini e come Paese per questo cerchiamo di averne cura e di non dimenticarla per lasciar spazio ad un linguaggio che non ci appartiene.
Adele Paglialunga
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