Ricordare Nadia Toffa per l’attività incessante e carica di dedizione come giornalista è cosa facile. L’hanno fatto in tanti in questi giorni. Ricordarla per le battaglie fatte assieme a Padre Patriciello e a Raffaele Del Giudice sulla Terra dei fuochi è altrettanto doveroso e, in qualche modo, scontato. Ricordare una donna che si è prodigata per i lavoratori dell’Ilva di Taranto, tanto da ricevere la cittadinanza onoraria, è cosa signorile e allo stesso tempo di grande effetto. Ricordare come una giornalista abbia saputo entrare nelle vicende della trasmissione “Le Iene” tanto da immedesimarsi con i bambini malati di cancro è da sottolineare tante volte. Fare interviste dove, in maniera evidente, non riusciva a mantenere le distanze tanto era desiderosa di penetrare nelle vicende non solo come semplice denuncia ma condividendo il dramma di chi se ne imbatteva.
I giornali in questi giorni si sono riempiti con la dettagliata descrizione di una persona dolce e allo stesso tempo determinata, decisa ad andare fino in fondo alle vicende da trasmettere. Qui, ora, non si vuole continuare ad approfondire questioni di una brava professionista. Si vuole, con tanta discrezione ma anche con tono alto di voce o decisa battitura dei tasti del PC, evidenziare come possa cambiare la vita di una donna di fronte alla “malattia”; come ha potuto sostenere tutti noi e così i tanti “malati” sottolineando che il problema della vita è riconoscere un’origine, preferire una fonte che disseta, che soddisfa, che ti fa stare a testa alta di fronte al dolore, che ti fa sorridere fino all’ultimo giorno perché sei cosciente che la vita ti è stata data e, in quanto donata, va restituita.
Quello che ha immensamente colpito tutti noi è stata la solidità di questo riconoscimento, la certezza che Nadia ha avuto di avere Qualcuno che l’ha accompagnata nel suo cammino di vita. La letizia con la quale Nadia ha ritrovato Dio come suo amico.
Giulio delle Iene, dopo la morte di Nadia, ha più volte detto che ora nulla è più come prima. Questo significa che ci si rende conto della densità di ogni istante, del peso di ogni azione. Nadia si è accorta che questo è stato un dono: riconoscere che tutto nella vita ti è dato, la vita stessa, la gioia, il dolore (diceva: “Perché tanti bambini soffrono? Perché non io? Inizio a dialogare con Dio, Signore mio che ne sarà di me, della mia vita? Mi rendo conto che la vita non è mia, mi è solo stata data in prestito e allora mi affido completamente”).
Ma la parola dono ne implica un altro, inesorabilmente. S’instaura una relazione tra te che ricevi e un altro che ti dona. Bisogna solo riconoscere una verità oggettiva. “Un mistero buono che fa tutte le cose” come suggeriva spesso Don Luigi Giussani. Sicuramente il contributo più grande che Nadia ha lasciato a tutti noi è stato questo. La gran parte delle persone che l’hanno conosciuta, prima ma anche dopo la morte, ha sottolineato quest’aspetto. Letizia e determinazione, riconoscimento di una Presenza amica e densità di vita.
Ed è ciò che, in cuor proprio, ognuno di noi anela.
Innocenzo Calzone
Nell’immagine di copertina, i funerali di Nadia Toffa
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