NAPOLI – La Storia siamo noi, gente comune che come formiche nei nostri territori agiamo dettando le linee di quella che sarà la Storia raccontata nel futuro. Di generazione in generazione, ognuno si nutre del racconto dei nostri padri e siamo loro figli: figli di un vissuto a cui apparteniamo per genetica, ma di cui sappiamo ben poco a dire il vero. Viviamo in un tempo in cui non c’è più tempo per l’ascolto di storie passate così lontane per cultura che sembrano non appartenere più a noi e che invece hanno tanto da insegnarci ancora.
Il libro “Lungo i sentieri del grano” di Carmine Leo è uno spaccato storico di una piccola comunità di Sant’Angelo a Scala di Avellino, in uno spazio-temporale circoscritto alla fine della guerra durante la lenta liberazione dai tedeschi nel settembre – ottobre del ’43.
È un romanzo storico ambientale, vincitore del primo premio internazionale città di Castrovillari, un premio meritato per la cura, la ricerca con cui l’autore con minuziosità storica dei dettagli, ci catapulta nella vita dei nostri nonni e genitori. Una storia così vicina, ma tanto lontana per aspetti di vita per il repentino cambiamento avvenuto nell’ultimo cinquantennio.
Si avverte che l’autore ha attinto dai racconti orali dei protagonisti reali ancora in vita con tutto il bagaglio emotivo ed affettivo che lo lega alla sua terra. Ma il paesino descritto è emblema dell’Italia intera che, massacrata dalle guerre, dal dolore della perdita, riusciva per contrappasso a vivere appieno la comunità e i propri bisogni diventavano i bisogni di tutti.
Si racconta il microcosmo di piccoli gruppi che “ i organizzavano per battere i sentieri del grano e combattere la miseria e la mancanza di cibo. Almeno una volta, quelli che non potevano permettersi la borsa nera, calpestarono quei sentieri e quelle strade alleviando le necessità delle loro famiglie, ma anche sperimentando la solidarietà del posto”.
Da Avellino o da Benevento chi con onestà non voleva arricchire le tasche degli speculatori della borsa nera, a piedi per giorni percorreva anche 200 km per raggiungere “il biondo oro della Puglia” e comprare ad un prezzo onesto il grano e riportarlo in spalla fino a casa. Uomini e donne “in marcia sui sentieri del grano per necessità”.
“Tutti provarono – si legge – la durezza dei percorsi, la stanchezza, i dolori muscolari, ma anche la gioia di lenire la necessità per le proprie famiglie. Tutti con tanta solidarietà e condivisione dei dolori e delle gioie”.
Nel romanzo si intrecciano storie e sentimenti, amore, rischio, pericolo di chi quella storia l’ha vissuta in prima persona divenendo all’occorrenza eroe coraggioso per sopravvivenza.
Il biondo di Puglia era l’oro dei tempi, il pane, la sopravvivenza per uscire da una guerra che aveva portato perdite umane e tanto dolore ed ancora si moriva per gli “effetti collaterali” di cui l’autore racconta che mieteva vittime innocenti soprattutto bambini che raccoglievano o calpestavano mine inesplose.
In una società liquida come la nostra quanto è utile voltarsi indietro e soffermarsi per una volta, sulle vere priorità, perché in stato di necessità, l’uomo possa essere ancora in grado di mettere in campo valori quali la solidarietà, l’amicizia, la pace “il rifiuto della logica del sopruso, dell’illegalità e della distruzione, solo allora, non ci saranno più guerre. Sui sentieri del grano, sono nati nuovi amori, nuove amicizie; sono crollate le frontiere della diffidenza e della diversità”. Così rispondeva Peppino, il protagonista a chi gli chiedeva se avesse ripercorso quei sentieri, per lui sentieri di vita, come vita è il grano stesso che non solo sfama ma ci rende uomini liberi nel momento in cui siamo in grado di condividere quei valori.
Angela Ristaldo
Nell’immagine di copertina, il libro “Lungo i sentieri del grano” di Carmine Leo (Delta 3 edizioni)
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