NAPOLI – “Non ho paura di apportare modifiche al quadro, di rovinarlo, perché esso ha una sua propria vita, egli è la mia vita”. Jackson Pollock è un pittore americano, nato il 28 gennaio 1912. E’ l’artista che ha, in qualche modo stravolto il concetto di pittura. E’ stato colui che ha tolto la tela dal cavalletto, avendo di conseguenza moltiplicato i punti di osservazione e di intervento dell’artista. Lo scardinamento del vertice dello sguardo rappresentativo dell’autore ha implicato innanzitutto l’emancipazione dell’opera da ogni vincolo tradizionale: l’opera non ha più alcun centro, ma si costituisce unicamente come trama. Quella di Pollock è stata sicuramente una frattura estetica con ogni modello rappresentativo dell’arte fino allora conosciuta. L’aver rotto con la tradizionale veduta dell’opera non gli ha proibito, però, di rendere i suoi segni, le sue linee, la sua estemporaneità carica di significato. “Il dripping rappresenta ciò che sono, pieno di ansie e paure, gioie e pensieri; la mia vita si proietta inesorabilmente sulla tela”.
In una testimonianza, la sua compagna, Lee Krasner, racconta che di fronte ad un’opera molto bella l’artista le abbia chiesto angosciato se quella fosse ancora pittura. Pollock non si domandava più se il suo lavoro potesse essere buono o mediocre, ma il suo interrogativo categorico riguardava la sua essenza pittorica. Cioè quanto potesse rendere trasparente l’angoscia del suo quotidiano, del suo vissuto. Il rigore estetico di Jackson Pollock consisteva precisamente nel non voler abbandonare la pittura, ma nell’operarne una sovversione interna, nel condurre la pittura stessa al suo limite. La sua è stata una ricerca struggente, piena di disperazione ed incertezza, sfociata in una drammatica dipendenza dall’alcol.
“Pollock ha toccato il livello più alto nell’informale – ha detto Vittorio Sgarbi. – Questo tipo di pittura non si può datare agli anni Cinquanta, potrebbe essere di oggi. Gli informali attuali, quindi, che cosa possono fare di più? Bene o male lo citano o lo scimmiottano senza avere la sua energia e la sua tensione potentissima”.
Con la tecnica del dripping, far colare il colore sulla tela, e soprattutto lavorando sul quadro steso sul pavimento, Pollock aprì una pagina nuova. L’artista gira accanto al quadro, danza, dipinge senza usare il pennello, riversa così la sua energia creativa. Number 27, del 1950, è uno dei quadri più significativi per modalità esecutiva. “Quando sono ‘nel’ mio dipinto, non sono cosciente di ciò che sto facendo. È solo dopo una sorta di fase del ‘familiarizzare’ che vedo ciò a cui mi dedicavo. Non ho alcuna paura di fare cambiamenti, di distruggere l’immagine… perché il dipinto ha una vita propria. Io provo a farla trapelare. È solo quando perdo il contatto con il dipinto che il risultato è un disastro. Altrimenti c’è pura armonia, un semplice dare e prendere, ed il dipinto viene fuori bene. Posso camminarci intorno lavorare sui quattro lati, essere letteralmente nel quadro. Preferisco la stecca, la spatola, il coltello…”.
Realizza i suoi quadri più famosi tra il 1947 e il 1950. “Alchemy” del 1947 è l’opera in cui per la prima volta Pollock ricorse al dripping. L’action painting di Pollock deriva dalla pittura spontanea che già gli esponenti del surrealismo utilizzavano. Dopo aver letto “L’interpretazione dei sogni di Freud” del 1899 considera inaccettabile il fatto che il sogno e l’inconscio avesse avuto così poco spazio nella civiltà moderna.
All’inizio degli anni Cinquanta è il pittore americano più famoso al mondo e il massimo esponente dell’espressionismo astratto, ma dal 1951 il suo stile cambia e inizia a dipingere opere che introducono di nuovo elementi figurativi. L’11 agosto 1956, all’età di 44 anni, muore in un incidente stradale a Long Island, mentre guidava la sua auto ubriaco.
Innocenzo Calzone
IO vorrei sapere il numero totale delle opere di Pollock,
Tele?
carte?
mi servirebbe per una tesi di laurea.
Grazie e arrivederci
Andrea Recchia