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Madonna del Perugino ritrovata in Giamaica

di | 2019-05-19T09:03:45+02:00 19-5-2019 6:30|Arte, Cultura, Sezione 7|0 Commenti
 PERUGIA – Van Gogh, Pietro della Francesca, Cézanne e il “nostro” Perugino sono presenti con le loro opere nella mostra aperta nella palazzina Gregoriana al Quirinale, Roma, dal titolo “L’arte di salvare l’arte”. Già perché questa esposizione (resta aperta alle visite fino al 14 luglio) é stata organizzata per ricordare e celebrare i cinquanta anni del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale (fondato il 3 maggio 1969), che sono riusciti a recuperare in questo mezzo secolo qualcosa come due milioni di opere d’arte, trafugate da musei, pinacoteche, abitazioni private o frutto di scavi clandestini. Il comando, oggi, conta su 300 investigatori (una sezione opera anche a Perugia), sotto la guida del generale Fabrizio Parrucci.
Pietro Vannucci, il Perugino appunto, è presente con la “Madonna della Misericordia” (nella foto a destra), opera tarda dell’artista (datata 1512-15), portata via la notte tra il 26 e 27 ottobre 1987 dalla Pinacoteca di Bettona. Fu un “colpo”, questo, davvero incredibile. Messo a segno da una banda di professionisti che avevano svaligiato, qualche settimana prima, anche una chiesa portandosi via, tra Chiusi e Montepulciano, i codici miniati (anche questi recuperati dai carabinieri di Perugia, con l’allora maresciallo Secondo Morani, in testa).
I malviventi – due uomini e una donna, alla guida di un furgone bianco – entrarono in azione a Bettona in piena notte. Avevano effettuato già, qualche tempo prima, una visita alla Pinacoteca, spacciandosi per turisti ed amanti d’arte e avevano scoperto che non esistevano sistemi di allarme e che la chiave del portone di legno, veniva custodita in un cassetto, neppure chiuso, della scrivania dell’ufficio dei vigili urbani (il Comune, di poco più di tremila abitanti, ne contava, all’epoca, tre). I mariuoli passando attraverso un orto privato arrivarono alla finestra dell’ufficio, segarono le sbarre di ferro e si impossessarono della chiave. A quel punto attraversarono la piazza deserta ed entrarono in Pinacoteca attraverso la porta principale. Erano le due di notte. Nessuno si accorse di nulla.
Toccò alla bidella, Anna Agostinelli, che si occupava delle pulizie anche nel piccolo museo, lanciare l’allarme, al mattino. Sul posto arrivarono i carabinieri del reparto operativo del gruppo di Perugia ai quali si affiancarono, nei giorni successivi, quelli della Tutela del Patrimonio Culturale. A coordinare l’attività investigativa il pretore Gianfranco Sassi. Nel volgere di quattro mesi gli investigatori riuscirono a raccogliere un gran numero di indizi e di informazioni legate anche ai movimenti di un furgone bianco tra Francia, Germania, Spagna, Inghilterra. La preziosa refurtiva era finita all’estero. Poi arrivò l’intuizione o la dritta giusta, che portava in America Centrale. I marescialli Tempesta e Giombetti volarono in Giamaica. Grazie alla collaborazione dell’Interpol, dei funzionari del ministero dei beni culturali, le opere vennero ritrovate e riconosciute ufficialmente (sul posto si recò anche l’allora soprintendente di Perugia, Guglielmo Malchiodi).
Si trovavano ancora incassate nella villa di un ricco commerciante giamaicano, tale John Franklin di Santa Caterina, senatore abbastanza discusso per attività poco chiare. Per riportare in Italia la refurtiva, tuttavia, si dovette aspettare il cambio del governo giamaicano: passato in minoranza il partito dell’uomo politico macchiatosi di ricettazione, il “tesoro” poté rientrare. Servì pure, per ottenere il rimpatrio, il fermo intervento dell’allora ministro degli Esteri, Gianni de Michelis. Franklin, nel frattempo, venne condannato per ricettazione a due anni di lavori forzati
Nella sua relazione ufficiale, il magistrato inquirente, il dottor Sassi, riconobbe la qualità del lavoro del reparto operativo del gruppo di Perugia e in particolare dei sottufficiali della Tutela del Patrimonio volati in Giamaica, attribuendo loro “intuito, perspicacia, eccezionale professionalità”.
Per il furto di Bettona e dei codici miniati i coinvolti si beccarono, dalla magistratura perugina, 8 anni di reclusione.
Tra il bottino trafugato e rientrato ventisette dipinti – tra cui due del Perugino (in alto, a sinistra), una predella di Dono Doni, pittore assisano ed ancora di Giacinto Boccanera e Anton Maria Fabrizi – reperti archeologici e oggetti d’arte.

Ora la tela del Perugino è stata scelta come “testimonial” per celebrare l’importante ricorrenza dell’Arma dei Carabinieri.

 Elio Clero Bertoldi
Nella foto di copertina, la Pinacoteca di Bettona

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