VITORCHIANO (Viterbo) – Vivere, scegliere di vivere in clausura sembra, oggi, una cosa fuori luogo, controcorrente, contro la mentalità dominante. E’ una scelta coraggiosa e allo stesso tempo rivoluzionaria, per molti incomprensibile. C’è chi la considera una fuga dalla realtà, un tirarsi indietro rispetto alle “problematiche” del tempo. Troppo spesso, anche tra di noi, ci si giudica per quante attività uno svolge, per quanto uno è dentro al giudizio sulle cose, per quanto uno ne sa di tutto. Troppo spesso ci si giudica per ciò che uno mostra, neanche tanto dal punto di vista economico o materiale, altrimenti si rischia di essere incasellati nel girone dei lussuriosi o, peggio ancora, in quello dei raccomandati, figli di papà, magari un po’ corrotti. Certamente il giudizio vola liscio sulla gente, su di noi, per quanto facciamo, per quanto siamo impegnati nel risolvere i problemi del mondo.
Poi, ad un certo punto, l’incontro con chi, invece, con tanta libertà, entra, vive, cerca il senso della vita. Ci si imbatte in chi invece di “dissetarsi a ruscelletti mondani e a fonti inquinate che tolgono armonia all’essere, diviso e ingannato da false promesse e da affetti incostanti e fragili”, sceglie la definitività, sceglie l’origine, il senso del senso. Del resto se è vero che ogni cosa “porta scritto più in là”, ricercare l’originalità dei rapporti, del rapporto con l’origine della vita è straordinariamente rivoluzionario.
A Vitorchiano, vicino Viterbo, non lontano da Roma, si trova un monastero di trappiste che è diventato punto di attrazione per molte giovani che scelgono una vita di contemplazione e lavoro. La badessa madre Rosaria, da 30 anni a capo di questa comunità, spiega che le molte vocazioni permettono anche di fare delle nuove fondazioni.
“E’ vero – sottolinea -. Tante vocazioni permettevano la fondazione di nuovi monasteri un po’ in tutto il mondo a partire dal 1968: la prima fondazione l’abbiamo fatta in Italia, a Valserena in Toscana. Successivamente in Argentina, Cile e Venezuela, poi in Asia, in Indonesia nell’isola di Giava, nelle Filippine a Mindanao. La penultima l’abbiamo fatta nel 2007 nella Repubblica Ceca, vicino a Praga. Invece l’anno scorso il capitolo generale del
nostro Ordine ha approvato il progetto della nuova fondazione in terra portoghese, nella diocesi di Bragança Miranda”.
Le trappiste vivono secondo la regola di san Benedetto: ora et labora. La vita quotidiana nel monastero si svolge alternando la preghiera con il lavoro e la lectio divina. Il centro è l’Eucarestia ogni mattina.
“Abbiamo un cappellano, un trappista belga – continua madre Rosaria -. La presenza di un sacerdote fisso è molto importante per una grande comunità come la nostra, per la celebrazione della Santa Messa ma anche per le confessioni”. Oggi, anche nella Chiesa si pone tanto accento sull’attivismo caritativo, sociale ed anche politico:“Noi non siamo separati dal mondo perciò percepiamo le preoccupazioni circa il momento attuale nella Chiesa e i rischi di perdere di vista l’autenticità del messaggio cristiano. Un momento così ci spinge ad andare in fondo della nostra vocazione. La nostra risposta ai problemi del mondo e della Chiesa è la continua conversione personale e la preghiera continua”.
“Il monastero – spiega la badessa – occupa 33 ettari di terreno, tra cui un uliveto, una vigna e dei frutteti. Allora prima di tutto produciamo il vino che vendiamo anche all’estero. Facciamo tante marmellate che sono la fonte principale delle nostre entrate. Facciamo anche i biglietti augurali ma oggi il settore è in crisi. Abbiamo rapporti con le persone esterne al monastero attraverso le suore che si occupano della foresteria. La nostra foresteria è piccola e non c’è spazio per tante persone. Per di più teniamo il posto per i familiari delle nostre sorelle che vengono da noi in visita. Abbiamo anche contatti con la diocesi. Il nostro vescovo ci ha chiesto per esempio di aiutare gli altri monasteri di clausura che sono in condizioni più precarie. E noi cerchiamo di essere aperte a questo tipo di sollecitazioni”.
La coscienza della centralità della preghiera dove per preghiera non s’intende la ripetizione di formule ma mettere
la propria sensibilità al servizio della universalità e dell’umanità. “Sembrerà strano – aggiunge un’altra suora di Vitorchiano – ma entrando in monastero non si avverte di lasciare il mondo. Al contrario lo si porta dentro con sé, nel proprio cuore, nella propria storia personale, soprattutto nella preghiera. Sono convinta che chi vuole entrare in monastero lasciando il mondo dietro di sé, non è adatto a questa vocazione. Certo i rapporti con le persone e con la realtà non sono più gli stessi, ma si avverte che tutto diventa più profondo, più forte e che si ama di più la vita, le persone, le cose. Si ama in modo nuovo, con maggiore purezza, senza possesso, nella libertà così come nel vero amore. Certe realtà che magari per molti sono indispensabili e preziose, perdono la loro luminosità, ma questo non entrando in monastero, ma già da prima, come credo debba essere per ciascuno. E non è certo per una delusione d’amore o per qualche altra causa che si entra in monastero, ma solo per un innamoramento, per la chiamata di un amore vero”.
Innocenzo Calzone
Nella foto di copertina, il monastero delle suore trappiste a Vitorchiano (Viterbo)
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