Se in Italia non è una passeggiata fare gli insegnanti, come se la passano nel resto d’Europa? Per saperlo, non serve ipotizzare congetture o diavolerie varie. Perché, carta canta. La carta è il “Quaderno Eurydice”, pubblicato dalla rete europea Eurydice di Bruxelles e tradotto in Italia dall’istituto Indire.
Le regole per andare in cattedra sono molto diverse da Paese a Paese. Per esempio in Portogallo, Norvegia, Svizzera e Ungheria basta la laurea che ha anche valore abilitante: gli istituti di formazione iniziale rilasciano ai loro laureati un pieno titolo per insegnare. Invece, per diventare insegnanti in Italia (così come in Spagna, Francia, Lussemburgo, Albania e Turchia) occorre prima superare un concorso che può prevedere prove scritte, colloqui, la valutazione di un portfolio, l’osservazione della pratica didattica o qualsiasi combinazione di questi metodi.
Il Vecchio Continente è diviso sul sistema di reclutamento degli insegnanti. In generale, c’è una visione compatta, perché la maggior parte dei paesi europei è per un “sistema aperto” e diretto. Però, se scendiamo nella parte più meridionale dell’Europa, Italia compresa, sono i concorsi la principale porta di ingresso nella professione di insegnante. E sappiamo anche che, da noi, superare un concorso costituisce un prerequisito obbligatorio per essere pienamente abilitato.
Per i docenti italiani non esiste, al momento, nessuna prospettiva di sviluppo di carriera nell’ambito della professione. Negli altri Paesi europei, invece. le prospettive di carriera e la progressione salariale costituiscono gli incentivi più comuni per incoraggiare gli insegnanti a partecipare allo sviluppo professionale continuo. Oltre al fatto che esiste anche la possibilità di assumere responsabilità diverse da quelle dell’insegnamento.
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