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La magica atmosfera di San Gregorio Armeno

di | 2018-12-23T08:53:15+01:00 23-12-2018 6:20|Cultura, Sezione 5|0 Commenti

NAPOLI – San Gregorio Armeno è un cardine della Napoli storica che unisce Spaccanapoli, via dei Librai e via Tribunale, i due decumani maggiori. Un cardine che è rimasto intatto dall’assetto greco-romano e già questo rende questa viuzza speciale. All’origine ospitava bottegucce artigianali per collezionare fiori di stoffa, alcune sono rimaste ma via via ha preso largo l’artigianato del presepe ed oggi è meta cult per coloro che (per fortuna, sempre più numerosi) si sono accorti della bellezza e del vissuto storico culturale di questa città.

 

La via San Gregorio Armeno costeggia da un lato il monastero di suore un tempo di clausura, che dà il nome alla strada che oltre alla stupenda chiesetta di Santa Patrizia accessibile dalla via stessa, contiene al suo interno uno stupendo chiostro tipico oasi di una città affolllata come Napoli che per sua natura offre spesso punti di forte contrasto. Magnifica anche la cripta con la grata che dà sulla chiesetta che custodisce il sangue di Santa Patrizia che si scioglie ogni martedì di ogni settimana. Questo luogo con maioliche settecentesche e cassettonato ligneo affrescato, ospitava riunioni massoniche sottolineate da simboli iconici e colori tipici.

 

Ma la vera attrattiva rimangono le numerose bottegucce del presepe e dei pastori. Secondo la tradizione locale, ogni anno nelle case si costruisce il proprio presepe e qui si trova di tutto per arricchirne le componenti. Eduardo, nel suo celebre “Natale in casa Cupiello”, rende un grande tributo ad una tradizione mai tramontata. Qui si trova il dettaglio di ogni bottega riprodotta, dalla cassettina in legno di alici ai cesti di frutta dai mille colori, ma soprattutto i pastori. Il presepe napoletano è unico perché ripropone la nascita di Gesù al centro di uno scenario napoletano del Settecento. Il presepe napoletano è cristallizzato a quell’epoca e attraverso di esso si rivede il pullulare della vita napoletana con le sue botteghe aperte, le case illuminate a festa quasi ignari di un evento che accade a loro insaputa. Il presepe napoletano risponde certo a  canoni prestabiliti e non casuali, oscillando tra il sacro e il profano. La sacra famiglia prende certo il centro della scena posta sempre leggermente in alto possibilmente con una scala, immancabile una fonte di acqua: un rivolo, una fontanina a simbolo del sorgere della vita.

 

Pochi sanno che tra lo scaramantico e la leggende, certi personaggi sono imprescindibili per chi vuole seguire la tradizione. Sicuramente il ragazzo dormiente che ignora e sogna la venuta di Cristo; il pastore detto della meraviglia con l’espressione stupita in volto e le immancabili pecorelle. E poi  Stefania, una giovane vergine a cui non era consentito avvicinare la Madonna per non oscurarla, lei madre e vergine: si racconta che, desiderosa di vedere il Bambino Gesù,  per non essere allontanata nascose in un mantello delle pietre a simulare un neonato tra le braccia. Al suo cospetto la Madonna compie il primo miracolo accarezzando il fagotto che diventa il tanto desiderato figlio; unico bambino presente nel presepe oltre Gesù. Quel bambino è Santo Stefano festeggiato il giorno successivo al Natale.

 

Ma di storie e leggende sui personaggi del presepe ce ne sono tante e camminando per San Gregorio se ne scorgono tutti i protagonisti. I mestieri dell’epoca sono tutti rappresentati: molti non esistono più come la capera, la donna che faceva i capelli di casa in casa (non a caso oggi la capera per i napoletani è la pettegola). Così il ciabattino, l’arrotino e le coloratissime botteghe di merci: stoffe, carni, pane, frutta e pesce. Le taverne. Ma ben nascosto, non può mancare  la figura dell’anticristo: il diavolo. E ancora il pastore con la gotta, la gobba, il povero ma anche la ricca ingioiellata. Una minuziosa cura dei dettagli negli abiti rigorosamente in stoffa e cuciti su misura. Il pazzariello con corni e aglio contro il malocchio; il femminiello già rappresentato nel ‘700 in anticipo alla cultura progressista contemporanea.

 

La manifattura della costruzione del pastore è perentoria e fa la differenza di prezzo: gli occhi in vetro, i vestiti di stoffa (più preziosa, se stoffa di San Leucio) e il dettaglio dell’espressione del viso. Di padre in figlio ancora oggi si trasmette la tradizione ed è facile distinguere l’originale dall’imitazione cinese, impossibile eguagliare per bellezza un opera così lavorata. Certo ci sono pastori per tutte le tasche, ancora pezzi di antiquariato originali del settecento fino a pastori in gesso e ci sono di tutte le dimensioni così gli oggetti.

 

Recentemente in un paio di botteghe si è fatta strada la consuetudine di riprodurre in statuetta i personaggi noti della politica, del calcio o dello spettacolo in genere che incuriosiscono molto il turista, ma che si distacca dalla vera tradizione del presepe napoletano in cui era rappresentato solo il popolo, mai un personaggio pubblico di potere.

 

Per fortuna ci sono giovani come i fratelli Scuotto con la bottega poco distante da San Gregorio, in via Tribunali, che pur non discendenti da una famiglia di presepisti hanno attraverso lo studio riproposto il pastore seguendo i canoni artigianali, ma collocato in chiave contemporanea e simbolica nelle leggende metropolitane e in quelle di Roberto De Simone. Riproporre e perpetuare una tradizione in chiave moderna è una vera ricchezza perché resta unica per genere. È un mondo che soddisfa l’immaginario di fantasia e realtà.

 

Angela Ristaldo

 

Nell’immagine di copertina, uno scorcio di San Gregorio Armeno

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