PERUGIA – Il primo nucleo di polizia dei papi – antenato della Guardia Svizzera – venne istituto dal pontefice Sisto IV (nella foto a destra), al secolo Francesco Della Rovere, di Savona, poche ore dopo la sua elezione al soglio di Pietro, nel 1471. Infatti, mentre il neo eletto si recava a prendere possesso del trono papale, all’altezza del Laterano venne aggredito da un gruppo di cittadini, probabilmente sobillati dai Colonna e dai Savelli e fatto segno ad un violento lancio di sassi. Scampato al tumulto, il successore di Pietro decise di istituire il corpo di polizia pontificia con una forza di 100 fanti e 200 lance. E ne affidò il comando ad un umbro: Andrea di Tartaglia di Norcia.
Il primo comandante della guardia pontificia, col titolo di capitano o conestabile, era figlio di Giovanni di Abbondanzo di Lallo detto Tartaglia, che dalla natìa Amatrice si era spostato a Norcia, ai primi del Quattrocento, dopo una serie di problemi e di scontri avuti con famiglie di Accumuli e di Amatrice. Sia il padre che lo zio, ricchi mercanti di bestiame, possedevano case a Norcia nella parrocchia di San Giovanni.
Andrea, che era di parte guelfa, irrompe nella storia proprio nell’estate del 1471. Prima di questa data di lui risulta fosse condottiero delle truppe guelfe di Norcia e che suo figlio, poco più che un ragazzo, fosse stato proditoriamente ucciso nelle ricorrenti faide tra guelfi e ghibellini. Nei quattordici anni del pontificato di Sisto IV, Andrea svolse un ruolo di primo piano sia per il papa, sia a fianco del nipote del pontefice, l’ambizioso Girolamo Riario, signore di Imola (e primo marito di Caterina Sforza, la coraggiosa eroina della città contro chi, rimasta vedova, intendeva spodestarla). Fu un papa, Sisto, tra i maggiori nepotisti della storia della Chiesa (sei ottennero la porpora cardinalizia, altri ebbero incarichi retribuiti alla grande) e fu proprio lui ad acquistare Imola, a suon di fiorini d’oro, dal duca di Milano Gian Galeazzo Sforza, per regalarla al nipote Girolamo.
Il compito affidato ad Andrea consisteva, appunto, nel comando della guardia pontificia e nella custodia del palazzo papale, ma anche nella partecipazione ad azioni militari decise dal pontefice. Compare, Andrea, a fianco di Sisto IV ad Assisi, quando il papa – nell’agosto del 1476 – presenziò alla solenne apertura del sarcofago di San Francesco. Agli atti del Vaticano risultano anche alcune intimazioni alla città di Norcia perché provvedesse a restituire ad Andrea tutta una serie di beni ricevuti in eredità da uno degli zii, Antonio di Mancino, proprietà che gli erano state confiscate in seguito agli scontri, in Valnerina, tra guelfi e ghibellini.
In quegli anni il pontefice, grande mecenate, aveva affidato a pittori importanti quali il Botticelli, il Ghirlandaio, il Signorelli, il Perugino ed il Pinturicchio gli affreschi della Cappella Sistina, nella quale pochi lustri più tardi, Michelangelo dipingerà quel capolavoro che è il Giudizio Universale.
Non erano mancati per Andrea e la sua famiglia momenti terribili e tremendi, in una società, violenta e spietata, non solo a Roma, ma anche a Norcia. Il figlio, come accennato, ucciso, con premeditazione, dalla parte avversa (i ghibellini) e lui stesso mandato in esilio dalla Valnerina. La moglie, anche lei di Norcia, nella speranza di essere ricevuta dal pontefice e pregarlo di intervenire a tutela almeno del coniuge, aveva subìto un tentativo di stupro, addirittura, all’interno della basilica di San Pietro, da tale Pelleo Corinthio, nipote di uno dei segretari del pontefice, all’epoca Paolo II (Pietro Barbo di Venezia), che avrebbe dovuto fungere da intermediario tra lei e il Santo Padre. Pelleo aveva invitato la donna a casa sua, per “parlare con maggiore tranquillità e riservatezza”, ma quest’ultima, per prudenza e verecondia, si era rifiutata accettando, piuttosto, di rappresentare le sue richieste all’interno della basilica di San Pietro. Mentre i due stavano parlando – lo racconta Giacomo Gherardi detto Il Volterrano nel suo “Rerum italicarum scriptores” – addirittura nella cella del Santissimo Sudario del Salvatore, il Pelleo, “libidine caecus” (cieco per la libidine), “dimentico di se stesso e della sacralità dei luoghi”, mise le mani addosso alla donna.
Lei cominciò a gridare e a chiedere aiuto e alcune persone che l’avevano accompagnata e seguita a distanza erano intervenute prontamente, picchiando a sangue l’aggressore. Un episodio incredibile e gravissimo che impedì le preghiere vespertine di quel giorno e che richiese, nella giornata seguente, una cerimonia religiosa di purificazione del tempio. Il Gherardi precisa che il Pelleo venne trascinato in carcere a Torre Nona, ma non aggiunge altro sul suo destino.
Gli ultimi documenti sul capitano nursino attestano la presenza di Andrea sotto le mura di Marino in cui si erano asserragliati Fabrizio Colonna ed i Savelli, l’aristocrazia romana della fazione ghibellina sempre nemica dei papi (a meno che non provenissero dalle proprie casate o fossero loro amici o alleati). Secondo alcune fonti (Stefano Infessura) fu nel corso di questi scontri (un atto del 18 giugno di quell’anno affida ad Andrea il compito di snidare i nemici del papato) che il comandante della guardia papalina sarebbe stato ucciso da Antonello Savelli; altre (come Gaspare Pontani) dicono che Andrea il 26 giugno avrebbe conquistato la città e che, di conseguenza, sarebbe morto successivamente.
Di certo il 30 giugno Andrea non presenziò in Castel Sant’Angelo alla esecuzione capitale del protonotario Lorenzo Didone Colonna, fratello di Fabrizio, il capo della casata e della fazione ghibellina, arrestato qualche mese prima dai suoi uomini. E inoltre è documentato, a partire dal luglio del 1484, l’affidamento dell’incarico di capitano delle guardie e di custode del palazzo papale ad altra persona. Pochi mesi più tardi, alla fine dello stesso anno, moriva anche Sisto IV. Con l’elezione del successore, Innocenzo VIII, al secolo Giovanni Battista Cybo, genovese, la carica che era stata di Andrea venne affidata a Domenico Doria, congiunto del nuovo pontefice. Fu poi Giulio II, al secolo Giuliano della Rovere, nipote di Sisto IV che lo aveva creato cardinale, ad istituire la Guardia Svizzera, composta da 100 cittadini maschi di fede cattolica, nati nei diversi cantoni del paese elvetico, volontariamente arruolati.
Elio Clero Bertoldi
Nella foto di copertina, il giuramento della Guardia pontificia
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