PERUGIA – In Val di Serra, tra il Ternano e lo Spoletino, fino a cinquanta anni fa gli individui dai capelli rossi risultavano in netta maggioranza. Eredità longobarda, o scendendo indietro nei secoli, celta? Alcuni studiosi locali sostengono che i reperti portati alla luce sulla cima della montagna alle spalle di Cesi, rafforzerebbero questa ipotesi. Anche se la maggior parte degli archeologi, oggi, confutano questa tesi, non c’è dubbio alcuno che questo popolo, ora dimenticato, invase le nostre terre e, pian piano, si integrò con gli umbri e con gli etruschi, che le abitavano da secoli.
Presenze celtiche in Umbria vengono documentate a nord, al centro e al sud della regione. Luana Cenciaioli, archeologa di fama, non solo ne individua le tracce nelle Galatomachie scolpite a Perugia nelle tombe dei Volumni, in quelle dei Cai Cutu e dei Cai Carcu, in quelle dei Vipi Vercna e dei Cafate, degli Acsi, nella tomba femminile di Casaglia, a villa Lodosivi di Prepo, a Villa Monti (dove vengono rappresentati la profanazione e il saccheggio di un santuario da parte dei Galli), ma pure a Chiusi e Volterra. Gli esperti sottolineano che Chiusi, che rivestì un ruolo significativo nelle vicende delle invasioni dei Galli nell’Italia centrale, è il centro etrusco che, rimarca ancora la Cenciaioli, vanta “il maggior numero di monumenti recanti raffigurazioni di Celti”. Inoltre tracce significative di presenze celtiche si registrano nella produzione di reperti e nelle epigrafi.
Tra le attestazioni epigrafiche, la Cenciaioli, riporta l’epigrafe del VI sec. a.C. di Orvieto in cui si cita un Gallo integrato nella società etrusca, di nome Catacus Catacius, tradotto, in etrusco, Katakina. Insomma uno straniero che si era fatto largo, in condizione sociale e in fama, tra gli etruschi. Già Dionigi di Alicarnasso colloca i Celti nella penisola e Tito Livio, nel quinto libro, attesta la loro presenza in Italia due secoli prima dell’assedio di Chiusi (avvenuto nel 390 a.C.). Ipotesi confermata dalla stele bilingue in travertino, proveniente da Todi (località Mausoleo) ed ora al museo Gregoriano etrusco, della seconda metà del II sec. a.C. con iscrizione in lingua gallica e in latino in cui compaiono i nomi celti di Ategnatus, Drutus, Coisis.
Lo stesso Marte di Todi (V sec. a.C., ora nei Musei Vaticani) proveniente da Montesanto alle pendici del colle, fu donato da un celta, Ahal Trutitis, come attesta, sul bordo della corazza, l’iscrizione umbra in alfabeto etrusco meridionale (“Ahal Trutitis donum dede”, cioè diede in dono). Altre testimonianze arrivano da Bettona e da Arna, sempre lungo la valle del Tevere (i fiumi possono essere considerati come le autostrade dell’antichità). Da una tomba di Bettona provengono bracciali in vetro “che trovano riscontro – attesta la Cenciaioli – in area celtica”. Da Arna arriva la fibula in bronzo a cerniera con arco semicircolare – III sec. a.C. – opera del celta Atepu (così si firma).
Tutti elementi, è la conclusione degli archeologi, che confermano con certezza la presenza, prima, e il successivo processo di assimilazione con le popolazioni locali, dei Galli. Come avvenuto con le varie tribù dei Boi e degli Insubri, al nord e con i Galli Senoni, i fondatori di Senigallia, tra gli Appennini centrali e il mare Adriatico. I Galli, che nella battaglia di Sentino (295 a.C.) contro i Romani furono alleati degli Umbri, degli Etruschi, dei Sanniti, diventarono, qualche decennio più tardi, i nemici da combattere, tanto che gli Etruschi risultano alleati dei Romani a Talamone nel 225 a.C., dove i Celti vennero battuti: così sulle urne e sui sarcofagi i guerrieri scesi dal Nord (dal Norico, anche) cominciano ad essere caratterizzati in maniera negativa, come un popolo barbaro ed empio (le rappresentazioni – ne sono state ritrovate cinque – di saccheggi di luoghi sacri) o crudele e pericoloso (come nelle scene di battaglia: ne sono tornate alla luce più di venti, diciassette delle quali dalla sola Chiusi).
Quando, più tardi, la potenza romana si allargherà sull’Umbria e sul resto d’Italia, città come Todi, Bettona e Arna, diverranno “municipia” ed i loro cittadini inscritti nella tribù Clustumina. E gli Etruschi, che avevano assimilato i Celti, si “fonderanno” pienamente con i Romani, di cui prenderanno la lingua, gli usi e i costumi.
Mesi indietro è stata presentata a Perugia una interessante mostra sui “I Celti di Bratislava”, organizzata nel quadro dei rapporti di amicizia con la città gemellata di Perugia, capitale della Slovacchia. Per l’occasione sono stati esposti pezzi e reperti provenienti da Bratislava (centro del Norico) e, anche, materiali provenienti dal museo archeologico delle Marche, in quanto l’antica Umbria includeva quasi tutto il territorio delle attuali Marche.
I Celti erano un popolo di guerrieri ma anche di artigiani che avevano raggiunto una notevole qualità. Come si evince dai pezzi portati in mostra quali stateri a forma di conchiglia, dracme d’argento e tetradrammi, piastre d’oro. Tra i ritrovamenti (Bratislava, come Perugia, si erge nella parte vecchia in cima a un colle tra il fiume Moravia e il Danubio) anche una cassetta di bronzo con sigillo che testimonia relazioni diplomatiche con Roma ai tempi di Giulio Cesare; una campana in bronzo battuto, simile a quelle ritrovate ad Ercolano e Pompei; ambra proveniente dai paesi del Baltico; vetro del Medio Oriente; un pigmento raro come il blu egiziano; monete romane di epoca repubblicana e una moneta in argento con la scritta Apollonia Dyrrachium, cioè Durazzo, la più antica città dell’Albania. I Celti, e quelli di Bratislava in particolare, si dimostrano altamente qualificati come forgiatori ed alcuni di loro autentici artisti.
Elio Clero Bertoldi
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