MONTEROTONDO (Roma) – Soffrire per amore significa sentire il dolore che morde sulla carne viva, è percepire il riaffiorare di tutto ciò che nel passato è stato difficile, terribile. Soffrire per amore è come ricordare di aver sofferto, è ferirsi ancora. E’ “Ri-ferirsi”, come dice il titolo della personale di Fabio Petrelli, curata da Daniela Fabrizi e Alessandra Valentini, conclusasi domenica scorsa presso la Galleria Grafica Campioli. Le immagini esposte, una serie di corpi maschili nudi disegnati a pastello su carta, sono un grido inascoltato, un atto d’accusa, il racconto disperato di ciò che è stato e, ormai, non è più. E’ ciò che rimane di un amore dannato e irrisolvibile, per questo impossibile.
La relazione in questione è quella da cui l’artista sta cercando di divincolarsi disperatamente dall’estate scorsa. Lo fa disegnando, dipingendo, creando. L’ispirazione, infatti, non nasce se non da un’emozione forte e la fine di un amore lo è. Lo può essere in modo straordinario, violento, come quello vissuto da Petrelli. Quel rapporto, però, ad un certo punto si rivela fallace, finisce, e chi ha vissuto la fine di un amore sa cosa significa ritrovarsi all’improvviso senza chi c’è stato a lungo, ha vissuto con noi condividendo tutto: il vuoto sembra insanabile. Per Petrelli, però, è anche un inizio: l’inizio di un atto creativo furibondo e bellissimo, tremendo e sublime.
Nel tentativo di rappresentarsi mentre quel dolore lo vive, Petrelli disegna corpi maschili, non si esime dal rappresentare anche il suo e quello del suo ex. Anche su di sè “intarsia” delle ferite, lì dove soffre, appunto, sul cuore e, in sua corrispondenza dietro, sul dorso. Sono incisioni precise quelle che dipinge, dei tagli da cui, ad acquerello, sgorga un fiotto di sangue rosso vivo. Le figure, esposte in serie sulle pareti della Galleria Campioli, provano un dolore lancinante che fa loro spasmodicamente reclinare il capo all’indietro o, anche, le costringe a piegarsi su se stesse come a chiudersi. Allungano le braccia a cercare un sollievo che non arriverà, perché quando si soffre per amore non può arrivare aiuto da nessuno tranne che da se stessi. Un lavoro certosino, quello di descrivere corpi straziati dalla sofferenza interna – quella del cuore – ma è proprio lo scegliere le linee, i colori, le luci e le ombre di questa narrazione, che ha fatto volare via il tempo più duro di un amore finito: quello che arriva subito dopo l’abbandono.
E quindi Petrelli ha disegnato, colorato, scelto, lo ha vivisezionato questo sentimento, causa di un dolore lancinante, di ferite sanguinanti. Su quelle figurine sofferenti ha trasferito la propria sofferenza che – lui stesso lo ammette – ancora c’è è sarà difficile cancellare, a lungo. E poi, tra i tanti rappresentati, compare il suo volto, somigliantissimo, con gli occhi chiusi. C’è anche quello di lui, che ora non c’è più, con le stesse ferite. Tanto dolore ma dal dolore, si sa, nasce la poesia. Nel vernissage di questa mostra Fabio Petrelli, docente di Arte e Immagine in una scuola media di Monterotondo e in un laboratorio all’università di Tor Vergata, ha spiegato egli stesso il valore catartico dei suoi dipinti. Ha raccontato nel silenzio di un pubblico molto coinvolto, le trame del suo tormento e come esso si sia trasformato in arte. Ha spiegato il ripresentarsi, nel titolo, di un evento traumatico e violento quanto era stata la morte di sua madre due anni prima, alla quale aveva dedicato “Icone”.
L’esposizione, conclusasi domenica scorsa, è stata prorogata per il successo che ha riscosso tra gli appassionati d’arte che tutti i giorni sono stati numerosi presso la storica galleria eretina.
Gloria Zarletti
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