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Stop ai finanziamenti per le armi nucleari

di | 2024-10-31T18:58:52+01:00 3-11-2024 1:05|Attualità, Sezione 2|0 Commenti

MILANO – L’ICAN (Campagna Internazionale per l’Abolizione delle Armi Nucleari), Nobel per la pace nel 2017, ha nel suo programma costitutivo l’adoperarsi per la sensibilizzazione “sulle conseguenze umanitarie catastrofiche di qualunque uso delle armi nucleari” e “per ottenere un trattato che le metta al bando”, come si evince dalla motivazione per il riconoscimento ricevuto. Si tratta di una coalizione mondiale tra membri della società civile di molti paesi che, dal 2007, lavora per promuovere l’adesione e la piena implementazione del trattato (Tpnw, Conferenza Nazioni Unite, 2017) per la proibizione delle armi nucleari. Entrato in vigore nel 2021, dopo la ratifica di 50 stati, e accolto con favore dall’opinione pubblica, il Tpnw non ha ancora ottenuto l’accordo di nove paesi che posseggono armi e arsenali nucleari – Stati Uniti, Russia, Regno Unito, Francia, Cina, India, Pakistan, Israele e Corea del Nord – così come di molti loro alleati, tra cui l’Italia.

L’ombra è l’impronta di una persona impressa sulle scale della Sumitomo Bank Company (alle 8,15 del 6 agosto 1945)

Promossa dall’ICAN, dal 16 al 22 settembre scorso in tutto il mondo e anche nel nostro Paese, si è tenuta la prima settimana di azione globale contro le spese nucleari, con lo slogan “No money for nuclear weapons!” (Niente soldi per le armi nucleari), per l’occasione si sono svolti eventi di approfondimento, conferenze e manifestazioni. I dati diffusi evidenziano che oltre 91 miliardi di dollari all’anno sono utilizzati (o più correttamente, forse, sperperati) per mantenere arsenali di armi di distruzione di massa. Il tema, pertanto, dovrebbe riguardare tutti, dal momento che si fa riferimento agli unici dispositivi, mai inventati, capaci di distruggere ogni forma di vita complessa sulla Terra. Basterebbe, infatti, meno dello 0,1% della potenza esplosiva dell’attuale riserva nucleare globale per provocare un devastante crollo agricolo e una carestia di massa, che ucciderebbe miliardi di persone (il cosiddetto inverno nucleare).

Hiroshima distrutta dalla bomba atomica

Inconcepibile, quindi, la decisione degli Stati in possesso di ordigni nucleari di destinare le risorse pubbliche, più che all’assistenza sanitaria e ad altre urgenti necessità sociali, alle armi di distruzione di massa. Le armi nucleari sono state sganciate durante il secondo conflitto mondiale sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaki (1945), causando la morte di circa un quarto di milione di civili, inceneriti all’istante o deceduti fra atroci sofferenze nelle settimane e nei mesi seguenti; altre migliaia di persone perirono nei decenni successivi a causa di malattie correlate alle radiazioni. I pochi sopravvissuti, in giapponese hibakusha, hanno dovuto far ricorso nella loro vita a reiterati trattamenti per gravi ustioni, neoplasie e altre malattie croniche.

Quest’anno il Comitato norvegese per il Nobel ha deciso di assegnare il premio per la pace a Nihon Hidankyo e agli altri hibakusha “per gli sforzi volti a realizzare un mondo libero da armi nucleari e per aver dimostrato, attraverso le testimonianze, che le armi nucleari non devono mai più essere utilizzate”. Già nel 1955 Einstein, nel “Manifesto Einstein-Russell”, scriveva: “Non stiamo parlando […] come membri di questa o quella nazione o continente o fede religiosa, ma come esseri umani, membri della specie umana, la cui sopravvivenza è ora messa a rischio”. E concludeva con una previsione amara, ma quanto mai veritiera: “Questa è allora la domanda che vi facciamo, rigida, terrificante, inevitabile: metteremo fine alla razza umana, o l’umanità rinuncerà alla guerra?”.

Albert Einstein

Nell’immaginario collettivo gli scenari di distruzione apocalittica ipotizzabili dopo un conflitto nucleare hanno da sempre costituito motivo di angoscia terrificante, lo attestano i tanti libri scritti e i diversi film prodotti, dal recente “Oppenheimer” di C. Nolan, il biopic sul padre della bomba atomica, al film cult “The day after” realizzato per la televisione statunitense e trasmesso nel 1983. I tantissimi americani che lo guardarono lessero questo messaggio prima dei titoli di coda: “I catastrofici eventi a cui avete assistito sono senza ombra di dubbio molto meno tragici di quanto accadrebbe se gli Stati Uniti venissero realmente coinvolti in una guerra nucleare. Ci auguriamo che questo film convinca tutte le nazioni della Terra, i loro popoli e i loro governatori a evitare questa drammatica fine”.

Le pagine dell’ultimo rapporto INCAN ricordano, infine, che cinque anni di spesa per le armi nucleari avrebbero potuto sfamare 45 milioni di persone e che questi miliardi avrebbero potuto essere utilizzati per contrastare il cambiamento climatico e salvare dall’estinzione tante specie di animali e piante, oltre che migliorare i servizi sanitari e educativi in tutto il mondo. Contro ogni logica di rispetto della vita la folle corsa al riarmo, invece, accelera e si aggrava sempre più anche per l’intensificarsi dei conflitti in atto a livello globale, tra cui quello russo-ucraino e arabo-israeliano. Non ha valenza alcuna, pertanto, la tesi di chi, in nome di un malinteso concetto di pace, sostiene che accrescere gli investimenti nel nucleare aumenti la deterrenza e la sicurezza. Non c’è nulla, in definitiva, che possa giustificare il ricorso al nucleare ed occorrerebbe che tutti ci ponessimo la stessa domanda formulata da Freud in risposta alle argomentazioni di Einstein: “Quanto dovremo aspettare perché anche gli altri diventino pacifisti?” (Carteggio Einstein/ Freud, 1932).

Adele Reale

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