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Lidia Poët, la prima “avvocata” in Italia

di | 2024-09-26T12:48:17+02:00 29-9-2024 1:15|Personaggi, Sezione 4|0 Commenti

TORINO – “Osa essere te stessa, non per apparire, ma per amare, osa essere te stessa per amare quelle che lavorano e che sono ancora vittime dell’ingiustizia e della povertà. A tua volta inizia a lavorare, tu che godi di un posto privilegiato nella scala sociale, per comprendere meglio chi ancora fatica giorno dopo giorno, osa essere te stessa per sperare nell’avvenire, per guardare al domani con fiducia, per costruire il mondo nuovo di pace e amore che si realizzerà quando sapremo essere giusti”. Così scriveva e ripeteva Lidia Poët (si pronuncia con l’accento sulla e), prima donna a essere iscritta all’Ordine degli avvocati. Ma che fatica! Dopo anni di lotte e ricorsi, l’iscrizione arrivò quando aveva ormai 65 anni, nel 1919, dopo l’approvazione della legge n. 1126, che ammetteva le donne all’esercizio delle libere professioni. Le donne e le avvocate, che oggi sono la maggioranza rispetto agli uomini, le devono molto.

Nata il 26 agosto 1855 in Val Germanasca (nota come Val San Martino, nella città metropolitana di Torino), è morta a 94 anni il 25 febbraio 1949, a Diano Marina, è sepolta nel cimitero di San Martino con lo sguardo rivolto alle sue valli, sulla lapide è scritto “prima avvocatessa d’Italia”. La sua fortuna, in un’Italia con l’84% di donne analfabete, fu di nascere in una famiglia valdese, aperta, colta, che non si oppose alle sue scelte e le dette le stesse opportunità dei fratelli (la chiesa valdese nel 1903 consentì diritto di voto alle donne nell’assemblea che elegge il consiglio della Chiesa). Fortuna fu anche nascere dopo il 1848, quando entrò in vigore lo Statuto Albertino. Bella, intelligente, determinata, elegante, ‘resistente’, con una grande passione per lo studio, rimase orfana di padre a 17 anni. Il diploma di maestra, la licenza liceale a Pinerolo, la laurea in giurisprudenza nel 1881 con una tesi, guarda un po’, dal titolo “La condizione femminile rispetto al diritto costituzionale e amministrativo nelle elezioni”.

Dopo il praticantato nello studio dell’avvocato e senatore Cesare Bertea, superato l’esame di abilitazione alla professione forense, chiese l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati e Procuratori di Torino. La sua domanda venne accolta a maggioranza e questo fece scandalo anche all’estero, Nelle considerazioni contò non essere sposata, non soggetta perciò all’autorità maritale. Due avvocati, uno di sinistra, l’altro di destra (Spantigati e Chiaves) si dimisero per protesta. Avrebbe potuto essere un ottimo avvocato, soprattutto in difesa dei diritti delle donne, come un secolo dopo fu Tina Lagostena Bassi (memorabile il primo processo per stupro), ma era nata troppo presto: nel 1883 il Procuratore Generale del Re impugnò l’iscrizione in Corte d’Appello, che revocò l’iscrizione (inutile il ricorso in Cassazione). Ne parlarono tutti i giornali, le motivazioni, basate su preconcetti e stereotipi, niente avevano di giuridico, ma tant’è: la moda femminile non si addice alla toga e al ‘tocco’, è disdicevole per una donna agitarsi in aula perorando una causa, gli uomini possono essere distratti, nei giorni del ‘ciclo’ è dubbia la capacità di giudizio.

Lidia lavorò nello studio del fratello Giovanni Enrico, istruì le cause, preparò le arringhe, tesi giuridiche, che non poteva firmare in aula. Parlava inglese, francese, tedesco, partecipò al Congresso Penitenziario Internazionale a San Pietroburgo nel 1890, il Governo francese la nominò Officier d’Académie in occasione del Consiglio Internazionale delle donne, aderì al Consiglio Nazionale delle Donne Italiane (CNDI) fin dalla fondazione nel 1903, durante la prima guerra mondiale entrò nella Croce Rossa, guadagnando la medaglia d’argento. Seguì il movimento delle suffragette, ma senza eccessi rivoluzionari. Difendeva deboli ed emarginati, i minori, i detenuti, soprattutto le madri detenute. Le condizioni delle carceri erano punitive (il pranzo veniva da fuori, quando e se veniva, la sanità era praticamente inesistente), lei per prima sostenne il ruolo di rieducazione delle carceri. Per le donne organizzò corsi di ricamo e cucito: le prime classi dei treni avevano poggiatesta bianchi fatti dalle detenute, che una volta uscite potevano avere una retribuzione e un mestiere.

Scrisse diversi trattati su questi argomenti, ancora oggi validissimi. Tra le sue amicizie Victor Hugo, Guy De Maupassant, Verlaine, Edmondo De Amicis, tra le donne Anna Kulishoff, Maria Montessori, Sibilla Aleramo, anch’esse hanno lottato per il diritto di voto, il divorzio, il servizio civile per le ragazze, la potestà sui figli. Nel 1939 è in prima fila durante l’arringa di Lina Furlan, anche lei torinese, prima donna avvocato a difendere in Corte d’assise una giovane violentata dal padre e accusata di infanticidio (e qui viene in mente Beatrice Cenci che si fece giustizia da sola, ma fu decapitata nel 1599 a Castel Sant’Angelo, per parricidio). Dopo il pronunciamento della sentenza di assoluzione, Lidia abbraccio calorosamente Lina Furlan, un abbraccio di quelli che non solo è rimasto nella storia, ma che dovrebbe esserci sempre tra donne, che invece sono spesso in competizione tra di loro.

Il ‘fondo’ Lidia Poët è custodito nella biblioteca civica Camillo Alliaudi di Pinerolo, già sede della Banca d’Italia, diretta da Giampiero Casagrande. Nel caveau libri, trattati (fatti stampare dagli amici), la pergamena per la laurea, 1773 opere inventariate. Il 15 settembre su Rai3 nella rubrica Protestantesimo è andato in onda un bel documentario sulla sua vita e le sue opere (www.rayplay.it/programmi/protestantesimo). Ricordi di famiglia, il ventaglio donato dalla famiglia Agnelli per consulenze legali (la vertenza tra la Fiat e la San Giorgio nel 1909), è nelle mani della pronipote Daniela Trezzi (“Doveva andare alla prima discendente avvocata ed è toccato a me”). Daniela custodisce il manoscritto della tesi di laurea, la penna d’oro per il giorno della laurea e critica la piattaforma Netflix per aver troppo romanzato la fiction “La legge di Lidia Poët” interpretata da Matilde De Angelis. La ritiene “troppo liberamente ispirata”, ma la serie, in cui Lidia fa la detective per scagionare i clienti del fratello, è premiata dagli ascolti e ha comunque il pregio di averla riscoperta. Di Cristina Ricci la biografia “Lidia Poët- ​Vite e battaglie della prima avvocata, pioniera dell’emancipazione femminile”, “Una donna moderna” di Clara Bounous. Recentemente è nato anche il tour “La toga negata” alla scoperta dei luoghi autentici dove è nata, vissuta e dove riposa.

Francesca Sammarco

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