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Dalia, la sfida dei “piatti del cuore“

di | 2024-09-20T13:01:06+02:00 22-9-2024 1:00|Enogastronomia, Personaggi, Sezione 1|0 Commenti

RIETI – Cucina stellata? No, grazie. Eppure in una cucina stellata Dalia Rivolta, torinese del 1990, ci è cresciuta. I suoi genitori, Silvio Rivolta e Diana De Benedetti presero la prima stella Michelin nel 1990, due anni dopo aver aperto il locale Bontan a San Mauro Torinese. Dalia è imprenditrice e consulente per ristoranti, ha partecipato a Masterchef Italia11, dove si è mostrata autentica, senza aggressività, cadendo nel ‘pressure test’ sulla frittura, che non è piaciuta agli chef stellati. Sono giudici severi, la gara è una vera competizione, costruita anche intorno alla scelta dei concorrenti, al loro carattere, capacità di coinvolgere il pubblico, fare audience.

La cucina stellata però, secondo Dalia, non è “sostenibile”, lei preferisce dedicarsi ai “piatti del cuore”, così ha creato il suo format di cuoca itinerante, pubblicando alcuni video sul profilo social. Il cibo è un pretesto per raccontare storie di vita, è linguaggio universale, etica e impegno sociale, in strada chiede ai passanti “cosa vuoi per pranzo?”. Per chi si ferma incuriosito va a fare la spesa, prende gli ingredienti necessari e mentre cucina chiacchera, socializza, coinvolge. La sua è una cucina di ascolto, in una società in cui a tavola si parla sempre di meno, tra programmi televisivi e cellulari, qui invece ci si riappropria del tempo, in una società che corre troppo. Ha sviluppato progetti sociali per donne migranti, imparando a sua volta cucina etnica, ha stretto amicizia con Maria, una senzatetto. Per lei la bravura in cucina non è nei piatti stellati, ma nel fare la pasta al pomodoro, piatto semplice che conoscono tutti e la sfida, l’abilità vera, sta nel renderlo unico.

“A tavolaaa, è prontooo” è la chiamata di mamme e nonne, un richiamo di famiglia che si custodisce con nostalgia quando non c’e più qualcuno che cucina per noi. Cucinare per qualcuno è amore, nell’espressione più semplice e questo gesto di amore Dalia lo ripete per la persona sconosciuta che passa in strada, con la quale crea empatia. E in strada passa il mondo intero. Forse, chissà, potrebbe partecipare a Masterchef All Stars, ma “questa volta per vincere”. Tra food blogger, competizioni, trasmissioni culinarie, oggi in TV si spadella in continuazione. Piero Chiambretti non è solo conduttore televisivo: ha esperienza nel campo della ristorazione, gestendo alcuni locali. Anche lui è critico e sostiene che i cuochi hanno perso genuinità e semplicità: “I programmi televisivi e i social spingono a essere tutti perfetti, competitivi e di conseguenza nervosi”.

La prima food influencer fu Julia Child, la spilungona alta 1,90, nata a Pasadena nel 1912, laureata in letteratura inglese. Scrisse libri sulla cucina francese dopo essersi trasferita a Parigi con il marito, funzionario di un ente governativo americano. Frequentò la scuola del Cordon Bleu (come Audry Hepburn nel film Sabrina). Il libro Mastering the art of French cooking uscì nel 1961. Fu la prima cuoca televisiva, con il programma The French chef che andò in onda in America dal 1963 al 1973 con grande successo, anche per la sua simpatia e semplicità, commetteva errori in diretta senza scomporsi e ne rideva con disinvoltura. Il suo personaggio è stato rappresentato nel film di Nora Ephron Julie & Julia con Meryl Streep. Per lei “una festa senza una torta è solo una riunione”. La sua cucina e i suoi utensili sono in mostra allo Smithsonian National Musem of American History a Washington.

In Italia possiamo ricordare i primi programmi di cucina con Ave Ninchi, Wilma De Angelis, Lella Fabrizi, i libri di ricette di Ada Boni, Pellegrino Artusi, le rubriche nelle prime riviste femminili. Oggi forse si sta esagerando con la cucina molecolare, gli impiattamenti, il perfezionismo. La cucina migliore è quella semplice, fatta con amore, è la cucina del riciclo, improvvisata, fatta lì per lì, con quello che c’è: brava, Dalia.

Con la speranza che la sua iniziativa possa essere replicata da altri, perché c’è bisogno di tornare a parlarsi, conoscersi, a condividere e scambiarsi culture e tradizioni, guardandosi negli occhi con un sorriso.

Francesca Sammarco

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