NAPOLI – Un nuovo anno scolastico è cominciato e, dopo i “tre mesi” di vacanza e dopo aver svolto le “sole” diciotto ore settimanali nel precedente anno (quindi carichi di un nulla che noi insegnanti facciamo da anni), si racimolano le ultime energie per poter affrontare nuovi colleghi, nuovi dirigenti, alcuni, purtroppo, così pieni di sé. Stessi contesti, solite scartoffie burocratiche, novità negli accorpamenti (o accoppa-menti) e, certo, soprattutto nuovi alunni, nuovi volti, nuove vite. Per fortuna ci sono loro! Volti simpatici, desideri tenuti a bada nelle vacanze estive e vogliosi di tornare a scuola. Per alcuni sono solo carne da… progetti, entità per impostare idee o ideologie progettuali, solite unità didattiche. Rimettersi in gioco anno dopo anno scalfisce, invade, plasma le vite dei docenti che, chi più chi meno ne accoglie la beltà. Questo salva, questo sostiene, questo appassiona.
L’attesa di una sorpresa, questa sì che si legge negli occhi di chi aspetta il primo giorno di scuola per cominciare, per essere considerato, abbracciato, guardato negli occhi. “Professò ma che faremo quest’anno? E quel prof ci sarà ancora? E quell’altro?”. E i genitori che chiamano perché il figlio “addà sta nella sezione migliore, con i migliori professori, mi raccomando…”. Che sa tanto di minaccia perché, poi, se non accade sono lamenti. Da molto tempo ormai sembra che quando si parla di scuola necessariamente si finisce per screditare, ingiuriare, infangare un luogo, un contesto che, seppur in crisi, resta un luogo privilegiato in cui il ragazzo impatta un nuovo modo di rapportarsi, di crescere, di seguire, di rispettare, di amare. Qui anche l’adulto insegnante ha l’opportunità di crescere, di cambiare, di condividere o anche, per i peggiori, per quelli legati al 23 del mese, far crescere solo il proprio fascicolo personale già zeppo di attestati, certificati e scartoffie.
Evidentemente se la scuola è in crisi il problema non è propriamente suo ma di qualcosa che viene prima. La scuola è come l’arte, è specchio dei tempi. Lì si concentrano quelle che sono le mancanze di una società, le crisi di umanità, le difficoltà di una famiglia ormai agli sgoccioli ma è anche un coacervo di possibilità. La scuola è e permane nella sua valenza educativa, unica. “L’essere con” questa affermazione apparentemente astratta o volutamente incomprensibile in un mondo in cui “tutto cospira a tacere di noi” fondamentalmente salva la scuola. Essere dentro i rapporti, dentro i dialoghi con i colleghi con gli alunni, questo sostiene. La scuola è in crisi, va in crisi quando la percezione di sé si perde nei meandri della burocrazia e si pone la certezza nell’individualismo del nostro insegnare.
Ma non può essere così; e non possiamo continuare a piangerci addosso solo perché il ministro di turno adotta un criterio o l’altro. La scuola come luogo di incontro (perché è solo così che può essere intesa) oltre che di crescita, di conoscenza… Deve diventare necessariamente luogo privilegiato per la scoperta di sé. Nel tempo ci si accorge che occorre scoprirsi in azione, lavorare su di sé per proporre una modalità di conoscenza, mettere in crisi gli alunni non attraverso un sapere ma attraverso un giudizio sul sapere stesso, sulla conoscenza, sulla metodologia adeguata. Proporre il senso di ciò che si studia. Non basta lo studio in sé per sé, occorre amarlo. Ma tutto questo non è facile né scontato.
Il nostro compito di docenti, dentro le difficoltà imprevedibili dell’oggi e senza la pretesa di facili soluzioni, continua ad essere quello di educare istruendo, di far riaccadere lo stupore per la conoscenza dentro l’ora di lezione, con tutta la nostra umanità e la capacità di istaurare relazioni significative e di cura che allevino i molteplici disagi di una pandemia culturale. Tale riduzione di pensiero, come ha ricordato più volte Recalcati, non produrrà una “generazione Covid”, a patto che noi adulti, anche tra le mura scolastiche, accompagniamo i giovani a vedere come la realtà può esserci maestra anche tra le complessità del vivere e come anche la mancanza di un bene possa generare desiderio, aprire la coscienza alle domande esistenziali più profonde e perfino generare un nuovo cammino umano.
Innocenzo Calzone
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