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Quando il Tevere in Umbria era navigabile 

di | 2018-09-21T21:07:18+02:00 23-9-2018 6:20|Cultura, Sezione 5|0 Commenti
PERUGIA – Sembra impossibile, incredibile,  a vederlo oggi, alla fine dell’estate, in secca. Ma una volta il Tevere – terzo fiume, per lunghezza, d’Italia – era navigabile. Dall’Alta Val Tiberina in giù. Il tema è stato trattato, di recente, dall’archeologa Luana Cenciaioli nel corso di una brillante conferenza.
Non era soltanto, il biondo Tevere (fulvus Tiber, per i latini) una linea di confine dell’Italia tra gli Etruschi e gli Umbri, ma anche una via per gli scambi commerciali, dall’antichità sino alla fine dell’Ottocento, per il trasporto di minerali, di legname, di materiale da costruzione, di prodotti alimentari. Addirittura per il controllo delle acque erano stati costituiti degli uffici particolari. Il fiume come una sorta di autostrada “ante litteram”.
Dionigi di Alicarnasso sosteneva che fosse navigabile, con larghe barche fluviali, sino alla sorgente. Plinio, al contrario, precisava che la navigabilità era buona fino ad Orvieto, dove si immettevano Paglia e Chiana, mentre da quel punto in poi il fiume poteva essere risalito solo con canoe, piccole barche o zattere. L’archeologa ha precisato che esistevano tre tipi di barche: le “lintres”, che risultavano essere “allungate e piatte”; le “scaphae”, con funzione di rimorchiatori;  le “codicarie”, utilizzate per il trasporto di derrate alimentari. Per scendere, ovviamente, i legni sfruttavano la corrente, mentre per risalire, da Roma verso Orvieto, Todi, Deruta, Perugia, Umbertide, Città di Castello, avevano bisogno di robusti rematori o meglio ancora di una sorta di rimorchio affidato a uomini o animali che percorrevano strade ricavate a destra e a sinistra delle sponde del fiume e che trascinavano, appunto da terra, i natanti con l’uso di corde o cavi. Sistema, questo, chiamato “alaggio”.
Non solo. La dottoressa Cenciaioli (nella foto in basso, a destra) ha ricordato che, per ovviare ai tempi di magra, di scarsa portata, venivano costruite delle “chiuse” (lo scrive Plinio), costruite con palizzate di legno e che venivano aperte ogni nove giorni. “Resti di queste chiuse – ha specificato l’archeologa – di difficile datazione, probabilmente medievali anche se costruite con tipologie di epoche precedenti, le abbiamo individuate a Ponte San Giovanni, Ponte Felcino, Pretola, Pontevalleceppi, Umbertide, persino a Sansepolcro”. Consistevano, in pratica, in cassaforme modulari, costituite da palizzate riempite di materiale inerte, a cui venivano poi collegate delle saracinesche per il controllo del flusso delle acque.
Grazie a sistemi di tal genere venivano trasportati a Roma anche il legname umbro, molto ricercato per l’edilizia e la carpenteria navale (questo uso è attestato negli scritti di Strabone). A Pontevalleceppi (nel 1985) e Ponte Felcino (nel 1990), anni di particolare magra, sono stati rinvenuti resti di altrettanti ponti, costruiti in opera a sacco e rivestiti con blocchi squadrati. Tredici anni fa, poi, la piena del Tevere si portò via, a Ponte San Giovanni, i resti di un ponte, più antico di quello a gobba d’asino distrutto negli ultimi mesi della Seconda guerra mondiale: si trattava di due piloni (le fondamenta e parte dell’alzato) fatti con nucleo cementizio rivestito da enormi blocchi di calcare in opera quadrata di probabile prima età imperiale. Struttura, forse, da identificare con il ponte attraverso cui l’antica via Amerina attraversava il fiume per raggiungere Perugia. Secondo la Cenciaioli, la tecnica di costruzione di questo ponte risulta confrontabile con il ponte di Sigliano e con quello sul Tescio ad Assisi. Un documento medievale cita “una vecchia strada” che aveva un vado in località che viene chiamata “Gietola” o Getola. 
Punti di approdo, sorta di porticcioli, sono stati individuati dagli studiosi a Umbertide, Pontevalleceppi, Ponte San Giovanni, Torgiano, Deruta, Todi, Orvieto, Alviano, Narni, Amelia, Otricoli (antica Ocricolum). I resti del cui porto, piuttosto rilevante, restano ancora ben visibili. Traghetti di barche, invece, sono attestati dai toponimi a Deruta, Umbertide, in località Faldo, nelle vicinanze di La Bruna a Pierantonio e anche ad Ascagnano. Qui, in località La Barca, avrebbe utilizzato il traghetto per raggiungere la sua amata marchesa Marianna Lorenzi Waddington lo stesso re di Baviera, Ludovico. Ma questa è un’altra storia.
Elio Clero Bertoldi
Nella foto di copertina, il Tevere a Ponte San Giovanni (Perugia)

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