MILANO – I componenti dell’Assemblea Costituente prefigurarono – pur nella diversità di vedute – una scuola pubblica aperta a tutti, obbligatoria e gratuita ed inoltre proposero che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, avessero il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La loro progettualità costituiva sicuramente un aspetto rivoluzionario rispetto al passato ed essa resta tale, anche se il dettato costituzionale (Art. 33 e 34) non è stato ancora compiutamente realizzato in tutto il paese. Nello stesso anno in cui la Costituzione italiana fu promulgata (1948), l’istruzione fu dichiarata un diritto umano universale, riaffermato poi nel 2015 dalle Nazioni Unite tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile.
Il cammino resta ancora irto di difficoltà, dal momento che oltre 600 milioni di bambini in tutto il mondo non riescono a raggiungere i livelli minimi di competenza in lettura e matematica, pur se due terzi di loro frequentano la scuola (dati UNICEF del 2024). Altrettanto grave il fatto che 250 milioni di bambini e ragazzi, che vivono in situazioni di povertà e degrado, non abbiano accesso all’istruzione (dati Unesco). Politica miope, oltre che irresponsabile, deve definirsi quella di tutti gli Stati che considerano l’istruzione un valore superfluo; basterebbe ricordare loro che l’esclusione dai processi di apprendimento ha un impatto negativo, oltre che dal lato pedagogico, anche da quello economico e sociale.
Migliorare l’accesso all’istruzione è provato sia essenziale, per esempio, per lo sviluppo completo delle ragazze, dal momento che tutelerebbe la parità di genere e ridurrebbe il rischio di matrimoni precoci e gravidanze premature. Il costo stimato di questa emergenza nel suo complesso è di 10.000 miliardi di dollari all’anno, tanto che molti paesi hanno inserito l’accesso per tutti all’istruzione di qualità tra gli obiettivi di sviluppo sostenibile entro il 2030. La situazione si complica ulteriormente nei paesi in cosiddetta emergenza democratica, si pensi all’esclusione di massa delle donne dall’istruzione in Afghanistan, o in emergenza bellica, a causa della quale l’elenco di situazioni critiche si allunga drammaticamente.
Va, prima di tutto, sottolineato che l’istruzione è fondamentale per i bambini che vivono in zone di guerra, perché contribuisce a restituire loro un senso di normalità e a superare i traumi. I numeri del conflitto in Medio Oriente ricordano che nessuno dei 625.000 studenti di Gaza ha avuto accesso sicuro all’istruzione dopo il 7 ottobre e che il 75% di tutti gli edifici scolastici è stato danneggiato o distrutto. Similare la situazione in Ucraina, dove è stato stimato che l’istruzione di 5,3 milioni di bambini è interrotta; senza parlare di tutte i conflitti dimenticati. “Silent enim leges inter arma” (letteralmente “tacciono, infatti, le leggi tra le armi”) scriveva Cicerone nella Pro Milone (52 a.C.), constatando come in tempi di guerra non valgono né le leggi né le convenzioni e le istituzioni di uno stato di diritto.
L’orazione non si riferiva evidentemente alla scuola pubblica, ma è innegabile che la qualità della vita democratica scaturisca innanzitutto dalla capacità critica dei cittadini; in fondo è proprio questo che li distingue dai sudditi e chi è analfabeta difficilmente saprà far valere i propri diritti. Lo “gridò” Gavino Ledda, autore del romanzo autobiografico “Padre padrone” (1975), al padre che lo aveva condannato all’analfabetismo per la condizione di povertà in cui versavano, oltre che per la sua visione patriarcale dei ruoli familiari. Gavino tenacemente si oppose alle sue scelte, rivendicò la propria autonomia e conseguì la laurea in Glottologia; emblematico aver voluto studiare proprio la lingua nelle sue strutture e storia, quasi in antitesi al silenzio assordante dei pascoli che aveva segnato la sua infanzia, quando l’unica presenza animata era costituita dalle pecore.
L’opera è divenuta un classico della pedagogia progressista, basta rileggerne alcuni passi in cui Efisio, il padre, afferma “Scusi, signorina maestra. Sono venuto a riprenderlo. Mi serve a governare le pecore e a custodirle. È mio. […] Che vuole questo governo da me? Che per mandare lui a scuola gli altri miei figli muoiano di fame? Il ragazzo è mio: me lo prendo io e lo uso perché non posso farne a meno. La legge vuol rendere la scuola obbligatoria. La povertà: quella è obbligatoria”. Parole tragicamente attuali che, empaticamente oltre che giuridicamente, ci fanno parteggiare per tutti i bambini a cui viene negata ogni giorno l’infanzia e gridare con loro: “Io speriamo che me la cavo!”.
Adele Reale
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