//Nati il 4 luglio. E sono rimasti un po’ sceriffi

Nati il 4 luglio. E sono rimasti un po’ sceriffi

di | 2024-07-06T17:34:17+02:00 7-7-2024 6:00|Punto e Virgola|0 Commenti

“Il secondo giorno di luglio del 1776 sarà l’evento più memorabile della storia dell’America. Sono portato a credere che sarà celebrato dalle generazioni future come una grande festa commemorativa. Dovrebbe essere celebrato come il giorno della liberazione, attraverso solenni atti di devozione a Dio Onnipotente. Dovrebbe essere festeggiato con pompe e parate, con spettacoli, giochi, sport, spari, campane, falò ed illuminazioni, da un’estremità di questo continente all’altra, oggi e per sempre”. John Adams nella lettera alla moglie Abigail aveva sbagliato di un paio di giorni, perché in effetti la Dichiarazione di indipendenza di 13 colonie britanniche dalla Corona inglese fu annunciata due giorni dopo: il 4 luglio. Il documento era stato predisposto da cinque saggi patrioti americani: Thomas Jefferson, Benjiamin Franklin, Roger Sherman, Robert Livingstone e, appunto, John Adams che in quella missiva ne dava trionfalmente notizia alla consorte.

Durante la rivoluzione americana, la separazione legale delle colonie americane dalla Gran Bretagna avvenne il 2 luglio 1776, quando il Congresso votò una risoluzione d’indipendenza proposta da Richard Henry Lee. Dopo l’approvazione, il Congresso rivolse la sua attenzione verso la Dichiarazione di indipendenza, cioè un documento che spiegasse questa decisione, che fu redatta dalla Commissione dei Cinque, ma il cui autore principale fu Thomas Jefferson. Il Congresso discusse e revisionò la Dichiarazione, approvandola infine il 4 luglio. Nascevano gli Stati Uniti d’America, il cui nucleo originario era costituito da 13 stati che, nel corso dei secoli, sono arrivati all’attuale numero di 50. Una nazione ricca, potente, autorevole, una delle potenze del pianeta.

E’ singolare che Thomas Jefferson e John Adams, firmatari della Dichiarazione d’indipendenza, successivamente assunsero l’incarico di presidente degli Stati Uniti d’America e morirono entrambi lo stesso giorno del 50º anniversario dalla dichiarazione, il 4 luglio 1826. Nonostante non fosse un firmatario, James Monroe (comunque uno dei padri fondatori che divenne anche presidente) morì il 4 luglio 1831, divenendo il terzo presidente deceduto durante l’anniversario dalla dichiarazione.

Per festeggiare il Giorno dell’Indipendenza, il 4 luglio 1777  a Bristol (Rhode Island) furono sparati tredici colpi di pistola, una volta al mattino e un’altra al calar della sera. Filadelfia (Pennsylvania) celebrò il primo anniversario in una maniera che gli statunitensi moderni troverebbero abbastanza familiare: una cena ufficiale per il Congresso Continentale, brindisi, 13 colpi di fucile, discorsi, preghiere, musica, parate, incontri di truppe e fuochi d’artificio. Le navi furono addobbate con decorazioni rosse, bianche e blu. Nel 1778 George Washington celebrò il 4 luglio con una doppia razione di rum per i suoi soldati e un colpo d’artiglieria. Al di là dell’Atlantico, gli ambasciatori John Adams e Benjamin Franklin organizzarono una cena con i loro compagni statunitensi a Parigi. Nel 1781 il Massachusetts fu il primo stato a riconoscere il 4 luglio come festa nazionale. Nel 1791 viene usato per la prima volta il termine Independence Day. Nel 1870 il Congresso  stabilì che l’Independence Day fosse una festività non retribuita per gli impiegati federali. Nel 1938 il Congresso cambiò la decisione precedente, convertendo quella giornata in una festività federale pagata.

Il Giorno dell’Indipendenza è, dunque, una festa nazionale caratterizzata da un palpabile patriottismo. Il 4 luglio di ogni anno gli americani dimenticano divisioni, diversità, contrasti e differenze e festeggiano in armonia, così come avviene per il Giorno del Ringraziamento (Thanksgiving Day, il 28 novembre) e per il Natale, ma cadendo d’estate le celebrazioni avvengono all’aperto. Le famiglie celebrano l’Independence Day organizzando un picnic o grandi grigliate con il barbecue e colgono l’occasione per riunire i parenti. Le decorazioni sono generalmente colorate di rosso, bianco e blu, come la bandiera degli Stati Uniti. Le parate avvengono in mattinata, mentre i fuochi d’artificio vengono sparati di sera nei parchi e nelle piazze; in alcuni casi i fuochi vengono accompagnati da canti patriottici, a partire dall’inno nazionale The Star-Spangled Banner (La bandiera adorna di stelle). Inoltre, a mezzogiorno in punto, nelle basi militari si svolge un saluto militare, chiamato Salute to the Union (Il saluto all’Unione), in cui vengono sparati tanti colpi di cannone quanti sono gli stati che compongono gli Stati Uniti.

Sicuramente gli Usa sono una grande democrazia che però comincia ad accusare più di qualche battuta a vuoto soprattutto a livello internazionale. Non è il caso di scendere troppo nei particolari, ma la sensazione che tutti i presidenti americani (sia repubblicani che democratici) si sentano sempre e comunque gli sceriffi del mondo è piuttosto diffusa, nonostante diverse esperienze (Vietnam ed Afghanistan, in primis) insegnino che cercare di esportare modelli lontani, se non addirittura del tutto estranei, alla cultura, agli usi e alle tradizioni locali sia impresa vana e improduttiva. Gli Stati Uniti, va detto, non si sono mai sottratti di fronte ai doveri che la Storia impone: ingenti armamenti e centinaia di migliaia di uomini sacrificati sui campi di battaglia furono decisivi per abbattere la tirannia nazista. Come pure decisivo fu per l’Italia il Piano Marshall che permise la rinascita dopo i lutti e le devastazioni della Seconda Guerra Mondiale. Oggi, di fronte ad epocali sfide globali, è necessario che tra Usa e alleati sia concreta una equal partnership (alleanza paritaria) che consolidi 80 anni di amicizia, ma che sappia offrire a tutti una via di uscita da quel labirinto creatosi con il terribile attentato alle Torri Gemelle. Un “affronto” che tutti gli americani faticano ancora a metabolizzare e che continua a condizionare fortemente le scelte di politica estera.

Buona domenica.

 

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