PALERMO – “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”: al loro risveglio, la mattina del 29 giugno 2004, in molte strade della città i palermitani trovarono centinaia di piccoli adesivi con questa scritta dirompente. Ad affiggerli erano stati un gruppo di amici, che da un po’ si ritrovavano assieme per discutere e fare progetti per la propria vita, dopo la laurea. C’era chi aveva l’intenzione di aprire un pub, col timore però che qualcuno chiedesse il pizzo, per conto della mafia. Questo li portò allora a riflettere sul fatto che non si poteva pretendere che chi esercita un’attività economica denunci l’estorsione, se l’ambiente in cui vive e opera è indifferente.
Da qui l’idea di lanciare a Palermo un insolito messaggio provocatorio e di denuncia. Gli adesivi contro il pizzo suscitarono una vasta eco non solo in Sicilia, ma in tutto il Paese. E per prima cosa contribuirono a suscitare una rivoluzione etico-culturale: un nuovo atteggiamento di presa di distanza verso il racket mafioso delle estorsioni. A questa nuova consapevolezza, seguì poi la nascita di varie associazioni antiracket, a cui aderirono imprenditori e commercianti.
Venti anni dopo, ecco l’intervista rilasciata al TG regionale siciliano del 28 giugno scorso da Pico Di Trapani, uno dei volontari storici di Addiopizzo: “Festeggiamo questi vent’anni con grande soddisfazione per un percorso che ci ha visto portare avanti tante iniziative, grazie al contributo di una collettività composta da giovani, commercianti, istituzioni, insegnanti, magistrati, forze dell’ordine…”.
Al giornalista Salvatore Fazio che gli ha chiesto come sia cambiata in questi vent’anni la lotta al pizzo e alla mafia, Pico Di Trapani ha risposto: “In questi 20 anni, è cambiata Palermo ed è cambiata la Sicilia e dobbiamo essere contenti dei traguardi che sono stati raggiunti. Tendiamo spesso a raccontarci negativamente… Dal 2004 ad oggi abbiamo guadagnato per lo meno che pagare il pizzo è un disvalore, è ingiusto… E che si può denunciare e lo si può fare in sicurezza. Abbiamo ottenuto tanti risultati di cui dobbiamo essere orgogliosi e che dobbiamo sottolineare. Certo, siamo consapevoli dell’ambito delicato in cui interveniamo, perché il fenomeno mafioso è sedimentato nella nostra storia, quindi nella nostra testa e nella nostra cultura. Già nel 2004 eravamo consapevoli, e continuiamo a esserlo ancora oggi, di dovere intervenire sul valore culturale del rifiuto del pizzo. Ma dobbiamo sempre cercare di capire quali sono le sacche di resistenza e di degrado che facilitano l’insorgere di fenomeni criminali di natura mafiosa”.
Dal sito ufficiale di Addiopizzo si apprende che, dopo settimane di discussioni e perplessità, nel giugno 2004 il gruppo fondatore raggiunse l’intesa di affiggere le frasi antiracket – Amunì (avanti) picciotti, a questo punto non possiamo non farlo! – anche a seguito delle dichiarazioni rilasciate dalla signora Pina Maisano Grassi dopo la sentenza che il 10 giugno 2004 metteva fine al processo Agate: dieci anni di udienze conclusi con trenta ergastoli, due dei quali inflitti a Francesco e Salvatore Madonia, condannati in quanto mandanti dell’omicidio di Libero Grassi, l’imprenditore coraggioso, marito della signora Pina, ucciso il 29 agosto 1991 per la sua solitaria ribellione al pizzo. Allora la signora Maisano Grassi, dopo la sentenza, aveva pronunciato queste parole: “Dopo tutti questi anni, la cosa che più mi sorprende e mi amareggia è che tutti continuano a pagare e tutti fanno finta di niente”.
Per ricordare e ripercorrere i vent’anni di Addiopizzo, a Palermo, nello spazio museale del No Mafia Memorial, in collaborazione col Centro siciliano di documentazione ‘Peppino Impastato’, il 29 giugno scorso è stata inaugurata una mostra: foto, video, stampe, disegni, articoli di stampa forniti dal Giornale di Sicilia e La Repubblica-Palermo raccontano il percorso di cittadinanza attiva compiuto dai palermitani che hanno scelto da che parte stare e dagli imprenditori e commercianti che hanno trovato il coraggio di denunciare.
“Oggi siamo cambiati, non solo anagraficamente – ha detto infine Pico Di Trapani – e siamo ancora più consapevoli della complessità della lotta alla mafia, lotta che per essere vincente, ha bisogno del contributo di tutti”.
Maria D’Asaro
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