NAPOLI – Ultimo giorno di scuola. I ragazzi chiedono di poter suonare la campanella, per l’ultima volta vogliono siglare la fine di un triennio. Una vita. Tre anni ricchi di avvenimenti, di legami, di affetto smisurato e anche di grandi arrabbiature. “Non vi dimenticheremo, resterete sempre nei nostri cuori”. Frasi fatte, da libro Cuore, smoderate, smidollate, immediatamente una repulsione. Alla fine, un pianto improvviso e smisurato coinvolge alunni e… alcuni docenti. Tutti in lacrime. Da una parte la considerazione immediata è che la fragilità di un ragazzo aumenta se perde i punti di riferimento, i contatti soprattutto con persone adulte presenti, che lo hanno accompagnato in esperienze nuove che difficilmente si possono ripetere. Un rapporto ancora più stabile rispetto a certe “assenze” di famiglia. Tale distacco può portare evidentemente ad uno smarrimento! Dall’altra parte viene da considerare, altresì, che in certi momenti gioca molto anche un aspetto condizionato dal resto della classe. Come dire, piangono gli altri, piango anch’io. Ma non è giusto sminuirne il valore. Certo è che un ragazzo che apre poco la sua finestra del desiderio, avrà poca ansia e curiosità nell’attesa del nuovo, del mistero.
Sono comprensibili l’affetto e i ricordi, ma se è vero che il desiderio più grande di un ragazzo è diventare uomo allora anche l’aver condiviso con i professori dei momenti belli, magici, può solo riempire di gratitudine la vita, può solo esaltare la verità di ciò che si è vissuto, non si può dare troppo spazio ai ricordi. Almeno adesso, no. Certo, dipende dalla struttura emotiva di ciascuno, poi ad una certa età, una base di razionalità e cinismo (ma anche di vera ragione) prende il sopravvento. I ricordi personali sono incentrati su un’esperienza fatta con amici, con compagni di classe con i quali si condivideva tutto, in particolare la voglia di essere grandi, di passare alle superiori, di essere finalmente “liberi” come i nostri fratelli.
Aveva la meglio proprio il fascino dell’incommensurabile. Il fascino della libertà. Quella sorta di imprevedibilità che illuminava gli occhi di noi ragazzotti di 13 anni. Avremmo avuto finalmente la possibilità di uscire di più, avremmo avuto maggiore autonomia, un mondo più maturo, avremmo spalancato una finestra onestamente più ampia! L’abbandonare quella scuola e quei professori era ben poca cosa rispetto al desiderio che si aveva di conquistare il mondo, di diventare grandi, di rimanere insieme, di progettare a più ampio respiro. Personalmente i rapporti furono ottimi con tutti i docenti, ancora adesso ricordati uno ad uno. Ma la gioia del passare ad un grado di scuola superiore di istruzione riempiva il cuore di gioia, di attesa intrepida, di fuoco. Vivissimo anche il ricordo del classico lancio dei libri in aria a scuola finita. Ci si spalancava ad una realtà incommensurabile.
Forse il confronto è un po’ forzato ma nella sua essenza, prima o dopo, la realtà chiede inesorabilmente una scelta. Diventare grandi o rimanere ancorati ad un passato? Ecco, forse la percezione di un’ancora sganciata dal terreno stabile di un luogo sicuro fa perdere le coordinate ad un ragazzo che attende speranzoso il compimento. Lo sganciarsi provoca disorientamento, incertezza, spaesamento; ma entrare a far parte nel mondo dei grandi crea inesorabilmente respiro, spesso ansioso, ma vero, denso, pieno, o almeno così dovrebbe essere. Guai a paragonare tempi e modi, mondi completamente diversi, realtà differenti, famiglie, luoghi, storie. Mi colpisce, però, quanta fragilità, quanta poca aspettativa sorprendo nei cuori degli alunni, quanta paura e soprattutto quante lacune familiari nel supportare scelte, idee, desideri ci siano.
“Di fronte al suo destino, al senso ultimo di sé, l’uomo immagina le sue vie, proiezione delle sue risorse, ma, nella misura della serietà del suo pensiero e della sua emozione, soffre l’enigma ultimo come bufera d’incertezza o solitudine di smarrimento. Unico aiuto adeguato alla riconosciuta impotenza esistenziale dell’uomo non può essere che il divino stesso, quella divinità nascosta, il mistero, che in qualche modo si coinvolga con la fatica dell’uomo illuminandolo e sostenendolo nel suo camminare”. Don Luigi Giussani si esprimeva così qualche tempo fa. Dove c’è domanda, c’è di sicuro una risposta e quanto più è vera la domanda, quanto più c’è attesa di bene e di vero, tanto più ci sarà risposta adeguata. Ecco, la categoria della possibilità si palesa come unica apertura plausibile al nuovo. Altro è limite e spesso ignoranza, come un volo basso, radente e offuscato. Obiettivi ridotti, tensioni sopite, desideri schiacciati. Quanta povertà mentale, quante occasioni, umanamente parlando, tappate. Ragazzi che scelgono la comodità, famiglie che, attente solo al “possesso” dei propri figli, non li spingono ad osare, a provare qualcosa di nuovo costringendoli a scelte “ridotte”, ridimensionate. Desiderio di diventare grandi? Prima di tutto la comodità.
Innocenzo Calzone
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