ROMA – Quella della piccola Annamaria (Annarella) Bracci di Primavalle, morta dopo essere stata gettata in un pozzo a soli 13 anni, il 18 febbraio 1950, è una vicenda nella quale ognuno ha voluto trovare la sua interpretazione, la risposta a domande morbose, il capro espiatorio, simboli da interpretare. Fu un omicidio efferato, impossibile da cancellare, quello di Annarella. Avvenne a Primavalle, quartiere romano dove tante famiglie povere stavano tentando di ricostruirsi una vita e qualche speranza a metà di quello che Eric Hobsbawm avrebbe chiamato il secolo breve, il ‘900 , diviso in due da altrettante guerre.
L’eccidio di questa adolescente inconsapevole avvenne, dunque, nel primo dopoguerra italiano in una borgata difficile da sempre sebbene sia a soli 3 chilometri da San Pietro, allora ricettacolo e dormitorio di reietti e barboni, malviventi, oggi un luogo dove la microcriminalità fa spesso notizia. L’impatto emotivo provocato da questo femminicidio fu talmente forte da cambiare la storia e la mentalità italiana, oltre che il Codice penale, per le modalità in cui si svolsero le indagini. Non ci fu un settore della vita sociale, culturale e politica, che non fu investito e influenzato dal trauma che gli italiani ricevettero dal terribile fatto di cronaca: libri, poesie, articoli di giornale, c’è anche una canzone inedita di Franco Califano ispirata alla morte della piccola Anna.
Verso sera di quel maledetto giorno la bambina si era allontanata da casa per comprare olio e carbone e da quel momento non aveva fatto più ritorno dai suoi. Lo stesso rischio che aveva corso Cappuccetto Rosso, solo che all’eroina della fiaba poi, andò meglio. Come nei racconti noir la piccola Annarella, di cui nessuno sapeva dire cosa fosse successo, sembrava essere stata inghiottita dall’”uomo nero”. E proprio questo si raccontò, dopo, ai bambini la sera, per scoraggiarli ad allontanarsi dai genitori: “Che avrebbero fatto la fine di Annarella, che era stata gettata nel pozzo”. Un uomo nero, dunque, l’aguzzino della povera ragazzina, di cui ancora oggi non si conoscono i lineamenti, che le indagini hanno tentato di identificare più volte senza arrivare mai a niente. Un “cold case”, quello di Annarella Bracci, come in Italia, in seguito, ce ne saranno tanti: Simonetta Cesaroni, Manuela Orlandi, Nada Cella, Serena Mollicone, Alberica Filo Della Torre e tante altre. Misteri italiani di cui non si è mai capito l’obiettivo ma che sembrano, sempre più, misteri di Stato.
Tornando ad Annarella, ogni evenienza sembrò aver congiurato contro di lei, in un incastro di eventi che riuscirono, purtroppo, a tenerla lontana da tutti quelli che avrebbero potuto proteggerla dal suo aguzzino. Come quella, di evenienza, che trattenne il padre mentre rientrava dal lavoro. Lui sì che l’avrebbe potuta riportare a casa incontrandola, sua figlia, l’avrebbe potuta proteggere da qualche malintenzionato. Egli stesso, però, aveva avuto un contrattempo: non era passata la solita corsa del bus e questo ritardo è divenuto centrale nel dipanarsi della vicenda. Addirittura fatale. Tutto concorse contro la povera piccola, rimasta vittima del degrado sociale, della povertà e del silenzio omertoso. Forse anche del destino. Ci fu poi anche il ritardo con cui iniziarono le ricerche: solo dopo sei giorni dalla sua scomparsa. Nel frattempo le forze di polizia non avevano iniziato le indagini, sottovalutando un fatto di per sé gravissimo: l’allontanamento di un minore da casa.
Il suo corpo offeso, però, il 3 marzo fu ritrovato in un pozzo e fu subito evidente il martirio che aveva subito. L’autopsia confermò che Anna era stata vittima di un tentativo di stupro non riuscito perché lei resistette e proprio questo suo coraggio le costò, probabilmente, la violenza causata dalle coltellate inferte con rabbia, dopo molte sevizie. Fu appurato anche che quando era stata gettata nel pozzo era ancora viva, particolare che valse a costruire un’aura di orrore ma anche di martirio intorno alla figura della bambina infatti si parlò di lei come della Santa Maria Goretti romana. Il ritrovamento del piccolo corpicino suscitò un grandissimo clamore. Il suo funerale, organizzato a spese del comune di Roma, attrasse migliaia di persone e l’evento fu scelto come immagine della prima pagina della Domenica del Corriere illustrata da Valter Molino. Le indagini, brancolando nel buio in assenza di testimoni, in un primo momento si rivolsero nella sua stessa famiglia: sulla madre che non aveva dato l’allarme da subito, sul fratello che misteriosamente aveva ritrovato le mutandine della bambina nelle campagne di Primavalle, il sogno rivelatore del luogo che il nonno raccontò di aver avuto. E proprio lì, in via “La Nebbia” tra Torrevecchia e Pineta Sacchetti, in fondo ad un pozzo artesiano, Annarella fu trovata.
Solo allora una soffiata rivelò agli inquirenti che la bambina era stata vista l’ultima volta con Lionello Egidi detto “il biondino” il cui processo apre un capitolo giudiziario importante della storia italiana. Egidi era un balordo, di mestiere faceva il bracciante agricolo e viveva in subaffitto nello scantinato di casa Bracci. Il suo processo fu molto complesso e coinvolse anche la politica per le modalità in cui si svolse ma non portò ad una soluzione del caso. Egidi fu assolto in primo grado perché disse di aver confessato sotto tortura e quindi ritrattò tutto. Il fatto suscitò interrogazioni parlamentari e determinò anche delle modifiche al Codice Penale che, proprio per questi fatti, oggi non permette più che un fermo di polizia duri oltre le 24 ore senza assistenza legale. A Egidi, tuttavia, ciò non valse la soluzione del problema. Condannato in appello e assolto definitivamente in Cassazione, tornò in galera qualche anno dopo per aver molestato sessualmente un bambino.
Chi uccise Annarella non si sa ancora ma forse essa fu la piccola vittima della povertà e del disagio sociale, della sottocultura che sopravvive laddove – come a Caivano per la ragazza stuprata da sei amici o nell’albergo occupato a Firenze dove una bimba è sparita nel nulla -solo fatti di cronaca eclatanti rivelano realtà durissime da accettare in un paese civile. Oggi Annarella avrebbe 84 anni e potrebbe ancora essere viva ma di lei rimangono un murales a Pineta Sacchetti e una targa che dà il suo nome ad un parco. Lì davanti, ogni anno il 12 maggio si commemorano la sua breve vita e la sua morte, valore e storia di una comunità che, in nome di questa bambina, è cresciuta ed ha tentato di emanciparsi.
Gloria Zarletti
Nell’immagine di copertina, gli inquirenti ispezionano il pozzo dove fu ritrovato il corpo di Annarella
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