MILANO – Sotto un albero di platano secolare, una magnolia dai fiori rosa e bianchi che lascia cadere i suoi petali delicati. Lì dove la storia, le vite di molti si sono intrecciate forti e salde come le radici degli alberi piantati in tutta la Francia. Quegli stessi alberi, quelle stesse radici hanno visto innalzarsi, crescere e inaugurare nella primavera del 1889, proprio il 31 marzo, di 135 anni fa, la Tour Eiffel.
Una torre metallica completata in occasione dell’Esposizione universale e poi divenuta il monumento più famoso di Parigi, simbolo della Ville Lumière e della Francia. La sua affascinante storia risale alla fine del XIX secolo. Il suo progettista fu l’ingegnere Gustave Eiffel, famoso per la realizzazione di ponti, viadotti e capriate metalliche, già prima di costruire l’emblematica struttura in ferro. La Torre fu ideata inizialmente come opera temporanea per l’Esposizione universale di Parigi del 1889, anno in cui si celebrava il centenario della Rivoluzione francese e sarebbe dovuta essere smontata alla fine della manifestazione. La realizzazione fu possibile grazie all’entrata in produzione di nuovi materiali edilizi, come le ghise e l’acciaio impiegati per produrre travi e altri elementi strutturali analoghi che, con le loro alte resistenze ai carichi, rivoluzionarono il modo di costruire.
In quegli anni, segnati dal progresso industriale, l’idea di una torre svettante che sfidasse la gravità era elettrizzante. E permetteva di sognare. Eppure particolarmente aspra fu la critica di Paul Planat, direttore della rivista di architettura La Construction Moderne, il quale bocciò la torre con clamorosi giudizi di demerito, definendola “un’impalcatura fatta di sbarre e di ferro angolare, priva di qualsiasi senso artistico, dotata di un aspetto mostruoso, che dava la brutta sensazione di incompiutezza”. Invece la torre, sarebbe divenuta un importante sito turistico e avrebbe attratto all’Esposizione folle di visitatori impazienti di salire su un edificio alto 300 metri.
Per costruire la torre, infatti, ci volevano ben 5 milioni di franchi, e il governo francese – inizialmente favorevole a finanziare interamente l’intervento – si dichiarò poi disposto a contribuire con soli 1,5 milioni di franchi, relegando all’ingegner Eiffel l’onere di trovare altri investitori interessati a contribuire alla causa. Per reperire i fondi necessari, Eiffel dovette prendere la decisione di mantenere la torre in loco per venti anni, così da coprire le varie spese con la bigliettazione e le concessioni dei ristoranti. Siglato l’accordo, tuttavia, non si fecero avanti investitori, a tal punto che Eiffel temette seriamente di non vedere mai avviata la costruzione della torre, né tanto meno di vederla ultimata.
Anche scrittori, pittori, scultori e architetti, in nome del buon gusto espressero profonda indignazione perché nel cuore della capitale fu innalzata una superflua e mostruosa Torre Eiffel. Il progettista rispose ai critici di ogni elevazione sociale: “Sono convinto che la torre possegga una sua intrinseca bellezza. Il principio primo dell’estetica architettonica è che le linee essenziali della costruzione coincidano perfettamente con la sua utilità. Qual è stato il principale ostacolo che ho dovuto superare nel progettare la torre? La resistenza ai venti. Io penso davvero che le curve dei suoi quattro piloni, così come sono stati creati grazie ai nostri calcoli e che si innalzano da una base colossale per restringersi gradatamente verso la cima, produrranno una meravigliosa sensazione di forza e bellezza”.
Gustave Eiffel fu lungimirante e dal quel 31 marzo 1889, ogni giorno di ogni anno, in tanti contemplano l’assoluta bellezza, sotto un albero di platano, con occhi sognanti, nella città più romantica del mondo.
Claudia Gaetani
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