Di una tribù degli umbri, i Plestini, ben 1450 reperti sono custoditi ed esposti nel Museo Antiquario di Colfiorito, progettato dall’architetto Roberto De Rubertis e inaugurato sette anni fa. Ben 600 di questi reperti narrano la presenza di questo popolo sull’Appennino umbro-marchigiano. Durante l’età del ferro gli umbri Plestini costruirono sull’altipiano capanne di legno e fango. Gli inverni erano sicuramente freddi, quassù a circa mille metri di altezza, ma il grande lago, i fitti boschi e la pianura fornivano di che vivere a questa comunità dedita all’agricoltura, all’allevamento e alla pesca. Successivamente sorsero i castellieri, fortificazioni costruite sulle alture intorno all’altipiano, difese da mura e con piccoli santuari interni. Con l’arrivo dei Romani (dopo la battaglia di Sentino del 295 a.C. dove una lega di umbri, etruschi, sanniti e Galli Senoni venne spazzata via) i castellieri cominciano ad essere abbandonati e i Plestini si spostano a valle. La storia ricorda che su questo altopiano si scontrarono nel 217 a.C., pochi giorni dopo la battaglia del Trasimeno, i cavalieri cartaginesi e numidi di Maarbale e formazioni romane al comando di Centenio, che era sceso da Rimini. Plestia venne romanizzata e iscritta nella tribù Oufentina. Con la guerra sociale, nel 90 a.C., la città si guadagnò il diritto di voto e venne elevata a municipio in età imperiale.
I Plestini vivevano bene ma stretti tra i Piceni ad est e gli Etruschi ad ovest: commerciavano con gli uni e con gli altri, lavoravano i campi e coltivavano i cereali (farro, avena, orzo) e gli ortaggi. La carne, soprattutto ovina, veniva arrostita o bollita, mentre anche il latte e il formaggio avevano, sulle loro tavole, un consumo significativo. Il lago forniva, in aggiunta, il pesce (sono stati trovati pure grossi ami), per una dieta davvero completa. Non mancava il vino, probabilmente importato.
Tra le divinità principali la Dea Cupra, simbolo di fertilità e di femminilità (forse anticamente la cultura della comunità era di tipo matriarcale). Nel museo sono esposte le lamine di bronzo con dedica, in lingua umbra, alla dea “madre dei Plestini”. Dove oggi sorge la basilica di Santa Maria di Plestia, intorno al VI sec. a.C., era stato innalzato un grande santuario, in località Capannaccia, dedicato appunto a Cupra. Lo testimoniano le terrecotte architettoniche, le antefisse, i materiali bronzei e ceramici, monete, doni votivi, recuperati ed esposti. La dea viene rappresentata con un serpente arrotolato intorno ad un braccio, e una colomba (o una anatra) nell’altra mano. Cupra era venerata anche dai Piceni (dove diverse località ricordano nel nome, ancora oggi, questa divinità) oltre che in Umbria (in particolare a Fossato di Vico è stata ritrovata una lamina bronzea con dedica, in lingua umbra, alla dea). Un altro dio adorato da questa comunità era Giove, ma anche Mauart (il Marte romano) protettore della guerra, degli scambi commerciali e pure della agricoltura e della pastorizia. “Il simbolo dell’essere uomo nell’età plestina – spiega l’archeologa Maria Angela Testa – Un pastore che si sposta in transumanza, che difende la sua terra e i suoi animali, e sposo di Cupra”.
I corredi funerari ritrovati dicono che questo antico popolo godeva di un buon grado di benessere e che oltre all’abitato principale di Plestia, in epoca romana, erano sorte ville rustiche ad Annifo, a Franca, a Ricciano.
Durante i lavori della Quadrilatero – collega l’Umbria alle Marche – è stata scoperta una grande villa romana con un tempietto ellenistico. In una tomba sono stati trovati i resti di una famiglia (padre, madre, figlia femmina e un maschietto) e di un grande carro addirittura a sei ruote.
Elio Clero Bertoldi
Nella foto di copertina, alcuni reperti custoditi nel museo di Colfiorito
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