ROMA – Con ironia e leggerezza, anche quest’anno Gioia Salvatori è tornata ad affrontare il tema del Natale e delle feste ad esso accessorie dal punto di vista del disagio e dell’angoscia esistenziale. L’antidiva con camicione e tronchetti con calzini, tutto rigorosamente nero, non ha bisogno di abiti o travestimenti: non recita ma impersona se stessa, una donna che sa quello che dice (e che scrive), ed è padrona del suo corpo e questo la rende, di per sé, bellissima. La difficoltà di stare bene con gli altri, la solitudine che si rivela con tutta la sua verità in “quei” giorni, il tentativo di omologarsi organizzando una vigilia con tutti i crismi o il cenone di fine anno con gli amici, il brindisi e il trenino sono il tema, riveduto e corretto, di quest’anno.
C’è tutto in questa tirata in cui la comica canta, balla, si traveste e rimbecca il pubblico improvvisando situazioni su un canovaccio ormai collaudato e riuscitissimo. L’attrice, addirittura, dialoga con i presenti come fosse in salotto, seduta comodamente su una poltrona e togliendosi le scarpe. In tre serate alle Carrozzerie n.o.t di Testaccio è tornata nei giorni scorsi con “Cuoro natalino”, un classico con cui la Salvatori intrattiene i suoi fedelissimi da dieci anni e che prende il nome dalla pagina social, che cura come fosse un diario personale, su argomenti di vita quotidiana e nevrosi varie. Nello spettacolo l’attrice romana, dal 2012, racconta la festa più attesa e più deludente di sempre snocciolando con satira pungente situazioni e personaggi che sono tipici. Tutto ci ricorda qualcuno che conosciamo o, addirittura, ci ricorda noi stessi quando ci rendiamo conto che Natale è alle porte e ancora non sappiamo come fare per rispettare un copione in cui non ci riconosciamo o che ci fa soffrire.
Sì, insomma, in Cuoro la Salvatori si pone la domanda di sempre cui nessuno ha mai dato la risposta: come si fa ad essere buoni e pure felici. E così la messa in scena dell’attrice romana diventa l’occasione per riflettere su una tradizione che a volte può risultare veramente tanto crudele, sulle abitudini della vita quotidiana, sulle relazioni, sulla famiglia, sull’amore. Un monologo esilarante, il suo, novanta minuti in cui canta, balla, recita, taglia il pandoro e lo offre agli spettatori, li fa giocare a tombola e dà loro dei premi brutti. E poi suona il flauto dolce, quello strumento tristissimo che a scuola hanno fatto imparare ad ognuno di noi, con una nota che crolla, alla fine, che stona così come tutte le luci della festa, quando tutti se ne vanno, non ci illuminano più e ci lasciano con l’amaro in bocca.
Nel suo descrivere il Natale c’è la vita di molti di noi, la difficoltà di crescere sani in una famiglia che spesso non lo è. Ma il suo sguardo sulla realtà è lucido e sincero, scanzonato, divertente e tradisce, anche, un profondo percorso di consapevolezza da parte di lei, attrice giovane ma che si rivela esperta del mondo. Non mancano nella sua performance a tutto tondo citazioni colte al mito e alla letteratura, la lettura rivisitata e corretta per sottolinearne meglio la crudeltà di quelle fiabe che sono state traumatiche più che “formative” per ciascuno di noi, come “La piccola fiammiferaia” o “Scarpette rosse”, prefigurazioni di morte, altro che atmosfera natalizia! L’attrice recita anche poesie scritte di suo pugno dimostrando un’attenzione per la parola che dice molto sulla profondità del suo mondo interiore. Ma tutta la sua sensibilità è trasformata in arte, in comunicazione verbale e fisica, in sorriso. Anzi, in risata.
Lei, il suo pubblico, lo vuole divertire parlando di ciò che ha capito di ogni individuo e questo la rende amica, sorella, compagna, più vicina e intima di tanti parenti o amici che ci sforziamo di amare – ma non ci riusciamo – a Natale.
Gloria Zarletti
Lascia un commento