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Dachau, dove l’uomo ha annientato la civiltà

di | 2023-08-19T13:34:28+02:00 20-8-2023 5:45|Sezione10, Viaggi|0 Commenti

NAPOLI – “Ritemprarsi” a Dachau? Era l’idea di un amico, ma dopo averlo visitato, è stato inevitabile un sussulto: subire un passaggio così brusco da uno stato di normalità ad uno oggettivamente scioccante può temprare lo spirito, ma niente di più. Entrare in un luogo dove aver guardato solo la ricostruzione con immagini o con letture su ciò che è successo 80 anni fa non tempra lo spirito: lo smorza, lo sotterra, lo asfalta, lo annienta. Sul giornale Münchner Neuesten Nachrichten (Monaco di Baviera Ultime notizie) apparve, con ciniche motivazioni, questa notizia firmata da Himmler, capo della Polizia del capoluogo della Baviera: «Mercoledì 22 marzo 1933 verrà aperto nelle vicinanze di Dachau il primo campo di concentramento. Abbiamo preso questa decisione senza badare a considerazioni meschine, ma nella certezza di agire per la tranquillità del popolo e secondo il suo desiderio».

Il campo di concentramento di Dachau fu l’unico ad esistere per tutti i 12 anni del regime nazista. Nei primi anni della dittatura fu il più grande ed il più noto dei campi di concentramento, ed il suo nome divenne ben presto sinonimo di paura e di terrore in tutta la Germania. Quasi 50.000 morti, più di 200.000 mila persone transitarono da lì, tanti morirono anche dopo la liberazione non riuscendo fisicamente e mentalmente a reagire alle torture subite.

Ciò che lascia perplessi non è tanto il fatto che un pazzo abbia avuto certe idee quanto il fatto che centinaia, migliaia di persone lo abbiano seguito in questo strazio per tanto tempo. Soffermarsi su quanto accaduto porta ad una sola considerazione: non è possibile. “Nie wieder/never again” (mai più): questa è la scritta che fu posta su uno striscione subito dopo la liberazione da parte degli americani. Quante parole, quanta rabbia, quante lacrime versate in tutti questi anni. Ricorrenze, anniversari, giornate dedicate alla memoria, divisioni partitiche quasi a cancellare il fatto in sé. Senza giudizi di sorta sembra che sia diventato più un fatto ideologico, divisorio, che non un reale ripiegamento su se stessi nella considerazione personale, oggettiva di quanto l’uomo possa essere soggiogato dal male.

Campi di concentramento contro lager sovietici, 6 milioni di persone trucidate contro 8, forse 10, addirittura 20 milioni in Russia; chi è stato più carogna, chi è stato peggiore? Da Hitler a Stalin, Lenin, e poi Pol Pot ma la lista è lunga: sembra una sfida ideologica alla carneficina più brutale. Ma non basta, non ci si ritempra così. Sicuramente un monito, un avvertimento, un “mai più” ma non può bastare oggi alla mia vita. Di sicuro fa male sentire ancora adesso termini o espressioni del tipo: “zavorra da eliminare” rivolti a colleghi di scuola oppure “parassiti dello stato” usato allo stesso modo per definire persone poco utili tra amici o in ambito lavorativo. Certe terminologie venivano utilizzate allo stesso modo per indicare i primi prigionieri nel campo di concentramento di Dachau: così venivano definiti “parassiti dello Stato” mendicanti, vagabondi, zingari, nullafacenti, sfruttatori di prostitute, bevitori abituali, autori gravi di infrazioni stradali e persone dal temperamento sociale psicopatico.

La carneficina di Dachau non può restare in ombra così come non possono essere dimenticati Auschwitz, i gulag russi e tutti i luoghi in cui si sono compiute le barbarie nel primo Novecento ad opera di dittature demoniache di destra e di sinistra. Ma non ci si può fermare ad una analisi fine a se stessa. Occorre necessariamente giungere ad una conclusione ovvia: se l’uomo è il problema non può certo essere lui la soluzione a tutto il male che c’è. Spesso si sentono affermazioni del tipo “Ma Dio dov’era?”. E invece sarebbe più giusto dire: “Ma l’uomo senza Dio cosa è capace di fare?”.

Occorre riflettere senza alcuna manifestazione o propaganda che necessita una rieducazione del popolo, una esaltazione della morale più vera e cioè che tutto ha un significato e ad esso bisogna protendere. Un cuore centro delle dinamiche più vere, del desiderio di verità, di giustizia, di bellezza che non possono essere trascurate. Lì c’è il nesso.

Se non rinasce una reale considerazione sul valore dell’essere umano, della nostra vita, del vero amore che è stato profuso per la nostra quotidianità tutto resta racconto, scoramento, afflizione, competizione politica e nient’altro. La verità è che ci si ritempra con amici che amano il tuo destino, ci si ritempra con sguardi che abbracciano la tua vita.

Innocenzo Calzone

Giornalista pubblicista, architetto e insegnante di Arte e Immagine alla Scuola Secondaria di I grado presso l’Istituto Comprensivo “A. Ristori” di Napoli. Ha condotto per più di 13 anni il giornale d’Istituto “Ristoriamoci”. Partecipa e promuove attività culturali con l’associazione “Giovanni Marco Calzone” organizzando incontri e iniziative a carattere sociale e di solidarietà. Svolge attività di volontariato nel centro storico di Napoli con attività di doposcuola per ragazzi bisognosi; collabora con il Banco Alimentare per sostenere famiglie in difficoltà. Appassionato di arte, calcio e musica rock.

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