Papa Francesco non la manda mai a dire e neppure gira intorno ai problemi: no, parla chiaro e a viso aperto. Anche quando si tratta di temi scottanti che talvolta (anzi, spesso) possono diventare fonte di polemiche. Atteggiamenti e comportamenti che in una parte (non secondaria, ma comunque minoritaria) delle alte sfere vaticane vengono – neppure velatamente – criticati. Insomma Bergoglio sin dal primo giorno di pontificato ha imposto un’impronta di verità, senza ipocrisie e senza sconti per nessuno. Costi quel che costi.
Un investimento e una risorsa che vanno protetti, rispettati, difesi e, ove possibile, ulteriormente incrementati. Non un fardello o un onere da sopportare di malavoglia. Vale per tutti: studenti, docenti, genitori. Se non si è profondamente convinti dei valori intrinseci che la Scuola (maiuscola d’obbligo) esprime, diventa impossibile la costruzione comunitaria di un consesso umano che possa esere definito “civile”.
Ancora Papa Francesco indica, come sempre con schietta franchezza, il fulcro del problema: “In una società che fatica a trovare punti di riferimento, è necessario che i giovani trovino nella scuola un riferimento positivo. Essa può esserlo o diventarlo se al suo interno ci sono insegnanti capaci di dare un senso alla scuola, allo studio e alla cultura, senza ridurre tutto alla sola trasmissione di conoscenze tecniche, ma puntando a costruire una relazione educativa con ciascuno studente, che deve sentirsi accolto ed amato per quello che è, con tutti i suoi limiti e le sue potenzialità”.
Se è concessa una libera “traduzione” del pensiero del Pontefice, viene da dire che non c’è spazio nelle aule scolastiche di ogni ordine e grado per docenti che si siedono in cattedra solo per portare a termine il programma, per interrogare, mettere voti, aspettare la fine dell’ora e – a fine mese – l’accredito dello stipendio. Una stracca routine che svuota la Scuola dei suoi compiti fondamentali, prosciugando qualsiasi forma di creatività e spegnendo ogni espressione di crescita.
Ma non c’è spazio neppure per genitori iperprotettivi, capaci solo di accusare gli altri (insegnanti, allenatori, formatori…) per le carenze o le mancanze dei propri frugoletti, in una disperata forma di autodifesa e di auto-assoluzione. Perché se uno studente di qualsiasi età si comporta male, spesso le cause vanno ricercate nell’educazione che la famigia non ha saputo impartire. Meglio scaricare le responsabilità sugli altri, sulla scuola, sulla squadra, sulle amicizia, sul contesto, sul “destino cinico e baro”…
Però è proprio di questi “ragazzi difficili” che bisogna prendersi maggiormente cura. “Per trasmettere contenuti – chiosa Papa Francesco – è sufficiente un computer. Per capire come si ama, quali sono i valori, e quali le abitudini che creano armonia nella società, ci vuole un buon insegnante”.
“La riflessione pedagogica e la pratica educativa hanno il dovere – aggiunge il professor Franco Santamaria, pedagogista di fama – di fare propria la dimensione della responsabilità. La responsabilità, in termini educativi, significa essere consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni: verso se stessi, verso gli altri, verso l’ambiente in cui viviamo. Ma non basta ancora. La parola responsabilità va associata all’aggettivo sociale, poiché l’educare è sempre un fatto sociale, nel senso che riguarda la comunità, il territorio in cui vive quel ragazzo e la sua famiglia, le istituzioni pubbliche e private che operano in quel paese”.
Ecco perché bisogna sempre stare dalla parte dei ragazzi e di chi se ne prende cura.
Buona domenica (e buon Ferragosto).
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