VENAFRO (Isernia) – Il Castello Pandone, uno dei 20 castelli più belli in Italia, si trova a Venafro, in provincia di Isernia, un piccolo paese confinante con la Campania e il Lazio. Il Castello di Venafro, così come appare oggi, è il risultato di una serie di trasformazioni e di adattamenti da parte dei signori che lo hanno posseduto. Pandolfo I Capodiferro attribuiva nel 954 la Contea di Venafro a Paldefredo, a cui è legata la vera fondazione del Castello sul terreno occupato dalla parte fortificata dell’angolo settentrionale della Venafro romana. In epoca normanna al nucleo quadrangolare si aggiunsero piccole torri d’angolo che sopravvissero al saccheggio di Bertoldo nel 1193. Nel 1201 una seconda distruzione colpì la cittadina quando Marcovaldo, ricevuta in concessione dall’imperatore la Contea di Molise, con le truppe papali saccheggiò e incendiò il nucleo abitato.
Nel 1222 Federico II dopo aver visitato la città decretò la dismissione del castello; nel 1349 un disastroso terremoto colpì Venafro risparmiando solo la Cattedrale. Successivamente le tre grandi torri circolari aggregate alla struttura longobarda, erette in sostituzione di quelle normanne furono eliminate in modo definitivo. Soltanto nel 1443 il capostipite della famiglia Pandone, Francesco, ottenne da Alfonso d’Aragona il castello come segno di riconoscimento per via delle sue imprese militari affrontate per difendere il Regno di Napoli. Fu proprio Francesco che iniziò una sostanziale trasformazione con la realizzazione del salone di rappresentanza, sul cui ingresso fece apporre un architrave in pietra di San Nazzario con lo stemma della casata, e l’avvio dello scavo del grande fossato.
Francesco e suo nipote Scipione, che ereditò la contea di Venafro nel 1457, non riuscirono a terminare le opere di ampliamento del fossato e della braga di difesa. Portarono a termine però i due accessi dotati di alti ponti levatoi. La braga merlata, invece, fu realizzata solo nella parte meridionale. Nel 1487 l’Università di Venafro pensò di ricorrere al re facendosi carico di una protesta contro Scipione che pretendeva denaro e mano d’opera dai cittadini per il restauro del Castello. Alla fine del secolo XV il Castello di Venafro vide la conclusione di una serie di interventi tutti finalizzati ad adattare la struttura a scopi militari. Nel 1498 Carlo Pandone morendo lasciò erede della Contea il figlio Enrico, ancora minorenne, che nel 1514 sposava Caterina, figlia di Gianfrancesco Acquaviva d’Aragona. Insieme i coniugi abitarono il Castello di Venafro fino al 1528 quando il conte, prigioniero a Napoli, fu decapitato per essersi schierato a favore del visconte di Lautrec.
Enrico, figlio di Ippolita d’Aragona, che aveva un’immensa passione per i cavalli, li fece immortalare sul piano nobile del castello. I ritratti sono circa 25, tutti disegnati con la tecnica dell’affresco su intonaco a rilievo, a grandezza naturale. Negli anni il castello ha subito diverse modifiche e di quei particolari ritratti attualmente ne sono rimasti solo nove. Ognuno di essi reca un’iscrizione che indica l’età, la razza e la data degli affreschi, fatti dal 1521 al 1527. Dal 1520 il Castello grazie a sostanziali modifiche ha assunto l’aspetto di una struttura residenziale e signorile con un grande giardino all’italiana sul lato orientale e un luminoso loggiato.
Attualmente il Castello Pandone di Venafro è sede del Museo Nazionale del Molise, che conserva oltre ad opere del territorio opere provenienti da depositi italiani come quelli dei Musei di Capodimonte e San Martino di Napoli, della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Roma e del Palazzo Reale di Caserta. Nel Museo si trovano anche i frammenti di affresco del VII secolo provenienti dalla Chiesa di Santa Maria delle Monache di Isernia, l’affresco con i Santi Bartolomeo e Michele dalla chiesa di San Michele di Roccaravindola e la scultura trecentesca della Madonna con Bambino da Santa Maria della Strada di Matrice. All’interno si trova la sala dei cavalli da guerra e quella dei cavalli da passeggio, la sala del teatro, la torre longobarda e uno splendido salone dove si svolgevano banchetti e feste.
Una delle più preziose opere di Venafro si trova nel primo salone del museo, il Polittico della Bottega di Nottingham, che raffigura la passione di Cristo. Scolpito nell’alabastro distingue i buoni dai cattivi, i primi col viso chiaro mentre i secondi col viso nero. Salendo le scale invece è possibile ammirare opere venafrane con simbolo religioso di noti artisti come Andrea Viso, Simone Papa e altri ancora. Proseguendo nella visita al castello si possono ammirare la sala dei bozzetti di Oratino e la sala dei Caravaggeschi. Proprio in quest’ultima ci sono le bellissime tele di Francesco Cozza, Francesco De Rosa e Andrea Vaccaro. Da notare un’altra sala nota come “Oro di Napoli”, in cui sono esposte le opere di due famosi artisti: Luca Giordano e Francesco Solimena.
A tutti ciò si aggiunge una sala con dipinti con chiari riferimenti al Neoclassicismo, paesaggi settecenteschi, quadri con Natura morta, disegni, fotografie e xilografie. All’interno si possono ammirare ancora uno scalone trecentesco, il piano nobile, il ballatoio cosiddetto dei Cavalli da Corsa, una loggia con arcate, la Sala del Cavallo di Carlo V, i Saloni dei Conti, la Sala del Teatrino e il giardino.
Margherita Bonfilio
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