PERUGIA – Sono tornati. Li ho visti. Indossano vestiti di foggia diversa ed i capelli presentano tagli e acconciature differenti da allora. Però, nei loro petti, battono cuori buoni, di “generosa abnegazione”, secondo il giudizio che all’epoca si guadagnarono. Sì, la Romagna, colpita da un’alluvione devastante, sta ospitando “gli angeli del fango”. Gli stessi, nella sostanza, che, nel novembre del 1966, si mobilitarono per recare soccorso, materiale e morale, ai toscani ed ai fiorentini, in particolare, colpiti e atterriti (35 le vittime) dallo straripamento, violento e inarrestabile, dell’Arno, che superò e travolse gli argini allagando non solo le campagne, ma persino il centro storico di una delle città più incantevoli dell’intero globo. Arrivarono in dodicimila, allora. Da ogni regione d’Italia e dal’estero. In una gara di solidarietà che commosse profondamente. Alle acque del fiume, si erano aggiunte quelle del torrente Mugnone ed il cuore del capoluogo toscano ne fu letteralmente sommerso.
Il collega Nereo Liverani, de “La Nazione”, mi raccontò, una decina di anni più tardi, che la tipografia del giornale – dove per fortuna non c’era più nessuno: l’acqua irruppe alle 7 del mattino del 4 novembre, quando i giornali erano stati stampati e spediti – era stata sommersa e che il liquido torbido e melmoso aveva superato i cinque metri di altezza, rendendo inutilizzabili gran parte delle attrezzature. Un proto, aggiunse, con un pizzico di sarcasmo fiorentino, una curiosità: al teatro Verdi, poche ore prima, era stato proiettato il film “La Bibbia” con la celebre scena del diluvio universale…
L’Arno ed il suo affluente, in quei giorni, non mostrarono alcuna pietà. Non solo stroncarono le vite di tante persone, ma con incredibile, inattesa furia investirono e danneggiarono pure quello scrigno di opere d’arte che è la città del Giglio: sfondarono i portoni delle chiese, inondarono gli altari, abbatterono persino le artistiche porte bronzee del Battistero, invasero la Biblioteca Nazionale Centrale, gli archivi, i musei. Assaltarono, tra gli altri tesori, il famoso Crocifisso di Cimabue in Santa Croce, i manoscritti e le opere a stampa. Un disastro.
Furono quei ragazzi che parlavano dialetti e pure idiomi diversi, a prendersi cura prima degli alluvionati per poi aiutare a liberare dal fango i negozi, le cantine, i garage. Infine gli “angeli” si dedicarono al recupero delle opere d’arte, dei dipinti, delle statue, dei libri. Ad affibbiare loro la definizione di “Angeli del fango” fu un giornalista (Grazzini, se non erro). Successivamente, il sindaco del tempo, Piero Bargellini la mutuò, la ripropose e la rilanciò in Italia ed all’estero. Tra quegli “angeli” anche Bruno Brunori, che tre anni dopo approdò in Umbria per dirigere la redazione regionale del quotidiano fiorentino. Indimenticabile maestro di giornalismo e di vita. Come gli altri soccorritori Brunori, proveniente da Pisa, dormiva, alla meglio, nei vagoni dei treni o negli ostelli. I più fortunati dei suoi compagni ricevettero ospitalità nelle case e nei palazzi degli alluvionati, appena liberati e recuperati.
Ecco, in Romagna, i nipoti (sono trascorsi poco meno di sessanta anni) di quei fantastici ragazzi, stanno dispiegando la stessa disinteressata, altruistica generosità. Con le mani, i volti, i capelli sporchi di melma, ma con il sorriso largo per regalare e diffondere serenità e speranza tra le vittime del disastro, questi giovani confermano che gli animi nobili esistono ancora. Sì, certo, Caino continua ad uccidere Abele, nelle guerre, col terrorismo, con le esplosioni di pazzia singola e collettiva ed in altri modi agghiaccianti, che costellano, in tutti i continenti, la nostra epoca così come le precedenti. Eppure, con il loro esempio solare, i giovani che operarono in Toscana ed ora si sporcano le mani in Romagna rappresentano la parte migliore dell’umanità e la riscattano dai suoi numerosi peccati.
Ed in noi anziani rilanciano la convinzione che la pietà non è morta. Che, ancora, nonostante molti si lascino soggiogare dall’interesse particolare, gretto, avido e stupidamente personale, la comprensione, la sensibilità, la compassione non suonano parole vuote, ma si incarnano, concrete, nei comportamenti solidali, nei gesti di amicizia, di fratellanza vera di questi moderni “angeli”. Abramo, nella Bibbia, di fronte alla ferma volontà divina di condannare alla distruzione le empie comunità di Sodoma e Gomorra, pregò Jahvè di risparmiarle perché il buono non fosse punito col malvagio, in presenza, tra la popolazione, di 50 giusti. Non si trovarono. Il patriarca provò ad intercedere di nuovo abbassando il numero delle persone degne di salvezza: prima 40, poi 30, quindi 20, infine 10. Niente: non se ne rinvennero. E così la devastazione si consumò inarrestabile.
Forse l’umanità, grazie agli “angeli del fango”, vanta ancora qualche residua possibilità di continuare ad esistere. Non la bellezza, ma la magnanimità e la rettitudine dei giusti, laici o religiosi che siano, salveranno la nostra specie.
Elio Clero Bertoldi
Nell’immagine di copertina, un gruppo di “angeli del fango” al lavoro in Romagna
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