ROMA – Nata ad Alessandria d’Egitto in epoca tardo imperiale, fin da bambina fu iniziata alla filosofia, alle arti liberali, alla teologia. Donna autorevole e autodeterminata. Morì martire. E’ santa Caterina? E’ Ipazia? Sono entrambe? O c’è qualcuno che mente? Ipazia, infatti, rappresentante della filosofia neo-platonica, colta, attivista politica, è realmente esistita nel 335 quando l’impero romano ormai cristianizzato aveva, con l’editto di Tessalonica, decretato la persecuzione dei pagani.
Le fonti dicono che neanche lei, come tanti altri, si era convertita alla nuova religione. Per questo “fu denudata, lapidata, fatta a pezzi, bruciata”. In una parola: martirizzata. I fatti a lei relativi sono documentati ma sulla sua storia solo di recente è stata fatta giustizia mentre la devozione religiosa rappresenta ancora uno zoccolo duro da abbattere e, insomma, la sua identità fa fatica ad emergere con chiarezza da un equivoco tutt’altro che involontario. Tutto ciò che si è detto sin qui di lei, infatti, si confonde con un’altra figura di donna, molto più “soft” e , soprattutto, “votata” al sacrificio.
Quello che sembrerebbe a tutti gli effetti il suo doppione è Santa Caterina (non a caso) d’Alessandria, il suo corrispettivo in chiave religiosa, una figura molto più di successo e popolarissima. Per la Chiesa, infatti, non sarebbe stato utile che Ipazia, donna autodeterminata, colta e assertiva si affermasse nella storia come modello: troppo all’avanguardia, “scomoda” in un mondo tutto al maschile che discuteva di questioni politiche, faceva denunce, ragionava dei massimi sistemi. Ma soprattutto, libera.
Sul limitare dell’età imperiale e a Medioevo incipiente, Ipazia non era quello che ci voleva e per questo fu trovato un modello muliebre alternativo. Santa Caterina le somiglia molto: anche lei è una filosofa e arringa il pubblico ma parla di Dio, converte le folle al Cristianesimo e poi alla fine si sposa “misticamente” con Gesù. Ipazia, invece, è single, non converte ma usa la ragione per far capire, denuncia la corruzione, le folle le fomenta, non le indottrina. Per questo, probabilmente, piano piano la sua identità fu oscurata attraverso un sapiente scambio di persona cui fu complice, inconsapevole, la storia dell’arte.
L’antesignana egiziana del femminismo viene “sostituita” da Caterina d’Alessandria, sua versione religiosa, che presto diventa una delle sante più celebri d’Occidente, si diffonde nell’arte e nella letteratura, le vengono dedicate innumerevoli chiese, il suo culto diviene nel Medioevo uno dei più popolari d’Europa. Oggi Caterina, riconoscibile dalla ruota con cui fu martirizzata, è molto venerata e solo in Italia, dove si festeggia il 25 novembre, è patrona di circa trenta comuni. Ma, detto ciò, questa santa sembra spuntare dal nulla ed essere solo frutto di una leggenda costruita a tavolino utilizzando gli attributi di Ipazia al fine di cancellare quest’ultima dalla storia. O, almeno, al fine di creare su di lei una certa confusione.
Alla santa vennero attribuiti i ragionamenti, le arringhe, la cultura della filosofa laica e così la martire fu più fortunata: divenne protettrice degli studenti in genere e in particolare di quelli di filosofia e teologia. I più grandi pittori di tutti i tempi – Tintoretto, Caravaggio, Masolino, Raffaello – dedicarono alla sua figura bellissimi cicli pittorici famosi in tutto il mondo. La devozione, poi, fece il resto: Caterina non è stata mai discussa. Tutto vero, come è vero che questa martire, di storico ha ben poco e probabilmente non è mai esistita. La sua identità vacilla, non ci sono documenti che ne attestino l’esistenza e le uniche notizie ci vengono fornite da una “Passio” greca, scritta intorno agli anni mille e quindi circa seicento anni dopo rispetto alla sua presunta morte per martirio e alla sua altrettanto presunta vita.
Vita che somiglia troppo a quella della sua concittadina pagana, Ipazia appunto. Il motivo di tanta solerzia da parte della Chiesa nel voler “camuffare” la biografia della filosofa realmente esistita sovrapponendole una identità inventata ma più “accomodante” è peraltro giustificata e qui ci sono le carte per dimostrarlo. E’ noto che Ipazia con la sua attività politica avesse dato fastidio al vescovo Cirillo, che lei aveva accusato di corruzione e che per questo la fece uccidere.
A parlarne è la storica Silvia Ronchey che, sulla base di studi “pionieristici” condotti dalla scrittrice irlandese Anna Jameson sull’iconografia dei santi, ha sottolineato la sovrapposizione, nelle molte raffigurazioni pittoriche, di Santa Caterina su Ipazia. In queste opere sono individuabili episodi certi, storicamente documentati della vita della filosofa che, attraverso questa confusione creata probabilmente ad arte, scomparve per secoli dall’immaginario collettivo. Gli studi recenti e anche film hanno fatto riemergere dall’oblio questa donna, eccezionale per i tempi in cui visse e forse unica nel suo genere ancora oggi.
E così, mentre il culto del suo “fake” Santa Caterina non ha mai perso lo smalto e il calendario festeggia il vescovo Cirillo come santo il 18 marzo, per lei Roma ha fatto un passo nel 2015, intitolando per la prima volta non una via, non una piazza ma un giardino. Per la giustizia storica c’è ancora tanta strada da fare.
Gloria Zarletti
Nell’immagine di copertina, un ritratto di Santa Caterina d’Alessandria
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