RIETI – Nasce vicino Filadelfia nel 1878, muore a Boston nel 1939, nel 1918 era al lavoro sulla ricostruzione di un volto umano, inizialmente uno stampo somigliante, poi la riproduzione di rame, ricoperta di argento ed enamel, colorata nelle tonalità della pelle: Anna Coleman, scultrice neoclassica americana (studi tra Parigi e Roma), si dedicò alla ricostruzione di volti umani sfigurati durante la prima guerra mondiale. Sposa il medico Maynard Ladd nel 1905 e prosegue gli studi a Boston. Nel 1914 contribuisce alla fondazione della Guild of Boston Artists, esponendo le sue opere (il Triton Babies è tuttora sulla fontana nei giardini pubblici di Boston).
La ritrattistica era la sua specialità, tra i suoi soggetti preferiti e meglio riusciti le attrici Bette Davis e soprattutto Eleonora Duse. Scrisse anche due libri: il romanzo Hieronymus Rides, Candid Adventurer e due opere teatrali che non vennero mai prodotte, abbandonò perciò presto l’attività letteraria (per fortuna, perché l’umanità aveva bisogno delle sue capacità artistiche), per concentrarsi sulla scultura. Nel 1917 segue il marito a Parigi come medico della Croce Rossa americana e incontra Francis Derwent Wood, scultore e ufficiale dell’esercito britannico, fondatore del Dipartimento di Maschere per visi sfigurati a Londra.
A Parigi i due hanno collaborato strettamente, istituendo lo stesso servizio rivolto ai soldati gravemente mutilati per gli effetti della guerra di trincea, conseguenze di granate, lanciafiamme e gas (il gas mostarda): le più gravi mutilazioni riguardavano il viso che restava scoperto. Una gamba o un braccio di legno erano certamente un handicap, forse anche una storia da raccontare, ma un’intera parte del viso mancante era ben altra cosa: era una morte sociale, con sguardi di disgusto, curiosità, commiserazione, che sono ancora peggiori.
Le ricostruzioni facciali erano spesso cuciture grossolane, fatte in fretta, per sconfiggere il rischio d’infezione, salvare una vita: penicillina e antibiotici ancora non c’erano, il fattore tempo era fondamentale. Fornire un riparo dietro una maschera, questa volta non teatrale, con un altro significato sociale, restituiva vivibilità, o almeno una parvenza di normalità, soprattutto se visti da lontano, in un incontro pubblico. Anna realizza lo stesso servizio per la Croce Rossa Americana, a cui dedicherà buona parte della sua vita.
Il procedimento prevedeva lo studio del danno facciale e la realizzazione di un calco in gesso, argilla o plastilina da cui ricavava una maschera in rame galvanizzato estremamente sottile, verniciata poi con un colore vicino a quello naturale e completo di ciglia, sopracciglia e baffi in capelli veri: veniva appoggiata sul viso e fissata con lacci o occhiali speciali. Certamente la protesi era il più somigliante possibile, tuttavia non poteva essere espressiva, riduceva gli effetti nefasti di una grave deturpazione del viso, alcune con un forte impatto visivo in casi particolarmente gravi, che fu causa di numerosi suicidi e traumi: ne realizzò 185.
Fu in quel periodo che iniziarono a svilupparsi tecniche di chirurgia plastica ricostruttiva, le cui prime tecniche però erano già riportate in testi come il Corpus Hippocraticum, confinato per tutto il Medioevo nelle biblioteche monastiche, così come i millenari procedimenti indiani di cui era giunta testimonianza in Europa durante l’età classica, ripresi in epoca rinascimentale (in Italia da due chirurghi catanesi). Nel 1932 lo Stato francese conferisce ad Anna il titolo di Cavaliere della Legion d’Onore come riconoscimento per la sua attività. Nel 1936 ritorna con il marito in America, dove continua a lavorare allo studio del ritratto nella scultura fino alla sua morte.
Oggi esistono esperti in protesi maxillo-facciali con materiali innovativi, che riproducono parti del volto e purtroppo, ancora oggi, tra le diverse cause, ci sono ancora i danni causati dalle guerre. La storia di Anna si trova nel sito enciclopediadelledonne.it, insieme a tante, interessanti, valorose figure femminili che si sono distinte in ogni campo, in ogni parte del mondo e in diverse epoche, molte sono poco conosciute o dimenticate (e ce n’è veramente per tutti i gusti, un sito da tenere a mente).
Insieme alla figura e all’opera di Anna Coleman, dal lungo elenco di donne vale la pena di ricordare la storia di Tina Anselmi, importante figura del ‘900, di cui non si parla (poco si parla anche di Nilde Iotti) che ha dedicato tutta la vita alla democrazia e ai destini delle donne, nella scuola come insegnante elementare, nel sindacato, nel movimento femminile della Democrazia Cristiana, in Parlamento, dove è stata deputata per sei legislature (1968- 1992) e ministro della Sanità e del Lavoro.
Nasce a Castelfranco Veneto nel 1927, a diciassette anni entra nella Resistenza come staffetta della Brigata autonoma “Cesare Battisti”, fa parte del Comando regionale del Corpo Volontari della Libertà. Si laurea in lettere all’Università Cattolica di Milano, dal 1945 al 1948 è dirigente del Sindacato Tessili e dal 1948 al 1955 del Sindacato Maestre. Dal 1958 al 1964 è incaricata nazionale delle giovani della Democrazia Cristiana e in tale veste partecipa ai congressi mondiali dei giovani di tutto il mondo. Nel congresso di Monaco del 1963 viene eletta membro del Comitato direttivo dell’Unione europea femminile, di cui diventa successivamente vicepresidente.
È sottosegretario al lavoro nel V governo Rumor e nel IV e V governo Moro. Nel 1981 è presidente della Commissione di inchiesta sulla loggia massonica P2, che termina i lavori nel 1985: un capitolo essenziale e delicato della vita della Repubblica, una responsabilità che Anselmi assume pienamente e con forza, firmando l’importante relazione che analizza le gravi relazioni della loggia con apparati dello Stato e con frange della criminalità organizzata, messe in campo per condizionare con ogni mezzo la vita democratica del Paese. Successivamente è nominata Presidente della Commissione nazionale per le pari opportunità, a lei si deve a lei la legge sulle pari opportunità.
Libertà, coraggio, determinazione, diritti: sono le parole che accomunano Anna e Tina. La prima ha ridato la libertà sociale a persone con visi sfigurati orrendamente, la seconda ci ha dato la democrazia, da difendere ogni giorno.
Francesca Sammarco
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