RIETI – ‘‘I miei occhi hanno visto donne private dei diritti’’: la sala convegni della Camera di Commercio Rieti-Viterbo è gremita e attende l’arrivo di Lucia Goracci, giornalista Rai. L’incontro è stato organizzato dall’associazione Auser (associazione di volontariato rivolta alle persone anziane e sole) e dal coordinamento donne Spi Cgil. Gli studenti dei licei reatini Elena Principessa di Napoli e Carlo Jucci le danno il benvenuto leggendo alcune riflessioni sulla situazione in Iran e Afghanistan e hanno pronte tante domande, alle quali non si è sottratta, fornendo tanti particolari. Giornalista professionista dalla fine degli anni ’90, è inviata Rai in Medio Oriente e America Latina, Egitto, New York, Turchia, Siria, ha documentato il Terremoto di Haiti del 2010, l’incidente nella miniera di San José in Cile, la guerra civile libica, nel 2015 è reporter su territorio siriano e iracheno, sulla linea del fronte.
Nell’agosto 2021 è a Kabul, a dicembre a Bucarest per documentare le lacune della campagna vaccinale contro il COVID-19 in Romania: la senatrice Diana Iovanovici Șoșoacă non gradì le domande, anche se l’intervista era stata accettata, allertando le forze dell’ordine. La giornalista venne accusata di furto e violazione di domicilio, trattenuta per oltre nove ore e rilasciata grazie all’intervento dell’ambasciata italiana. Nel 2011 riceve il Premio Ilaria Alpi, nel 2012 il Premio Luigi Barzini, nel 2019 il Premio per la Cultura Mediterranea – Fondazione Carical a Cosenza. I suoi occhi ne hanno viste tante, anche le sue orecchie ne hanno sentite tante: la sala è in silenzio, è difficile ascoltare, è difficile raccontare, in un mix di dolore, rabbia, pietà, senso di impotenza.
“Cosa possiamo fare, è utile aderire alla campagna ‘adotta un prigioniero’?’’ chiede la segretaria generale CGIL Barbara Di Tomassi.: “Aderire alla campagna – risponde – serve a tenere alta l’attenzione e premere sul regime, noi siamo riusciti a liberare due prigionieri, ma non è stato facile. E’ importante continuare a studiare, creare ponti, comunicare, partecipare, voi ragazzi siete il presente e il futuro”.
Anche l’Italia non ha brillato nei confronti dei diritti delle donne, legiferando solo in anni recenti: “Le conquiste non sono irreversibili”, sottolinea citando Franca Viola, rapita in Sicilia nel 1966, che rifiutò il matrimonio riparatore e la legge del 1995 che annulla il reato contro l’onore introducendo il reato contro la persona. Anche durate il regime di Mohammad Reza Pahlavi (ultimo Scià di Persia, decaduto nel 1979, dopo la rivoluzione islamica) non era tutto rose e fiori (la prigione di Ewin dove rinchiudono i dissidenti la fece costruire lui), ma le donne erano libere di studiare, si truccavano e vestivano all’occidentale.
“Ogni volta i regimi colpiscono per primi i diritti delle donne, il velo è un simbolo”. Racconta l’agonia di Kobane, il caos degli ultimi voli da Kabul prima che chiudessero tutto “ho preso il penultimo volo, l’ultimo è stato per il personale diplomatico e ambasciate, tutti volevano fuggire prima che chiudessero”. Forte la solidarietà tra donne, la capacità di resilienza: “Ci mettono il velo? E noi sotto al velo nascondiamo i nostri quaderni di appunti per studiare”. Se vieni ucciso da una donna non vai in Paradiso e questo dà un piccolo margine di azione “non ci controllano troppo, ci tengono lontane”. Vale anche se sei corrispondente Rai, non solo per quella domanda in diretta “perché non mi guardi?” rivolta al talebano che le rispondeva fissando il vuoto, perché “ci è proibito guardare le donne in faccia”.
Durante le interviste sorgono difficoltà “anche se sono io a decidere il servizio, mi mettono da parte e vogliono i colleghi maschi. Ci scambiamo uno sguardo senza discutere, loro sanno cosa fare e come, io ne approfitto per guardarmi intorno e raccogliere altre informazioni senza essere troppo controllata”. Come si vive? “Tra guerra, speranze e delusioni, soprusi, impiccagioni, giornalisti in carcere, funerali notturni degli attivisti, donne che si danno fuoco, senza diritti ereditari. il risarcimento di sangue, in caso di incidente, vale la metà di quello di un uomo, le donne non possono uscire da sole, studiare, guidare, la morte di Masa Amini per quel velo mal messo, è stata svelata da un’altra donna”. Chi è nato in questi ultimi 20 anni non ha conosciuto il califfato e quando gli Americani hanno terminato la missione Enduring Freedom, tutto è improvvisamente cambiato.
Come si creano i talebani? “Si indottrinano secondo l’ideologia della Madrasa, (scuola islamica dell’XI secolo), ragazzi presi negli orfanotrofi, che non hanno mai conosciuto una figura femminile di madre, sorella, non hanno mai avuto una famiglia, non sono mai stati amati. I giovani sono informati e non sono più disposti a compromessi, hanno superato i genitori, sui tetti ci sono antenne paraboliche pronte a essere smontate, nascoste e rimontate, le proteste non si fermeranno, ma ci vorranno due generazioni”. Perché andare in posti difficili? “Da ragazza sono stata influenzata e colpita dal libro di Oriana Fallaci ‘Niente e così sia’, mi interessa vedere in situazioni estreme cosa resta attaccato alle persone, la viltà e l’eroismo, le decisioni che vanno prese nonostante i rischi. Noi raccontiamo e riportiamo i fatti, non cerchiamo la verità, soprattutto diffidate sempre dalle verità assolute. Sarà difficile scoprire la verità sulle ragazze avvelenate per poter chiudere le scuole e teniamo sempre presente che l’Occidente, Italia compresa, in quelle zone ha comunque interessi economici (a Nassiriya andammo a difendere i pozzi petroliferi dell’Eni, come scrisse Giuliana Sgrena ne “Il fronte Iraq”, per la verità su Giulio Regeni non possiamo calcare troppo la mano ndr.). Le mamme raccontano ai bambini la favola del pesciolino nero che vuole raggiungere il mare, una volta raggiunto viene mangiato dai predatori, ma restano altri pesciolini e altri ne continuano ad arrivare: non importa quanto avrò vissuto, ma il segno che lascio”.
E’ difficile ripartire? ” Riparto con sollievo e allo stesso tempo mi sento in colpa, lascio interpreti e collaboratori ormai amici, vorrei portarli tutti con me. All’aeroporto di Istanbul ho visto donne scendere dall’aereo gettando in aria il velo”. Il prossimo viaggio? “Tornerò appena mi daranno il visto”. Jin, Jian, Azadi (scritto come si pronuncia): donna, vita, libertà. Oriana Fallaci descrisse per prima gli orrori della guerra in Vietnam, l’incendio di Saigon, i paesi rasi al suolo, il napalm, i defoglianti, che le hanno ispirato la rivisitazione della preghiera del Padre Nostro, che dà il titolo al libro: “Padre Nostro che sei nei cieli, dacci oggi il nostro massacro quotidiano, liberaci dalla pietà, dall’amore, dalla fiducia nell’uomo, dall’insegnamento che ci dette Tuo figlio. Tanto non è servito a niente, a niente e così sia”.
Francesca Sammarco
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