PERUGIA – Alzi la mano chi sa quanti siano i santi protettori di Perugia. Tre? Risposta sbagliata. In realtà assommano a quattro: San Costanzo, Sant’Ercolano, San Lorenzo e San Ludovico di Tolosa. Ora domandate chi sia quest’ultimo? È il protettore della città finito nel dimenticatoio, nonostante i governatori del Trecento avessero fatto scolpire, dai maestri lombardi, la sua immagine sul portale del palazzo dei Priori, a futura memoria. Sul perché i Priori avessero affidato pure a lui, oltre agli altri tre, la vigilanza e la protezione su Perugia, la motivazione non è chiarissima. Forse entrarono in gioco fattori più politici che religiosi.
Certo è che due anni dopo la sua canonizzazione, il 7 aprile 1317 e la sua proclamazione a patrono di parte Guelfa (e Perugia militava in questa fazione), fu acclamato pure protettore della città e persino dello stesso palazzo comunale. Centocinquanta anni più tardi il pittore perugino Benedetto Bonfigli fu incaricato di dipingere nella cappella dei Priori le “Storie di San Ludovico di Tolosa”. Ludovico era nato in Provenza a Brignoles (alcuni storici sostengono che fosse venuto alla luce a Nocera Inferiore, nel napoletano) nel 1274. Un rampollo, insomma, della casa reale d’Angiò, non un “quisque de populo”. Fu il secondogenito, infatti, di Carlo II re di Sicilia e di Maria d’Ungheria.
Quando il padre venne sconfitto in battaglia e preso prigioniero dagli Aragonesi (nel 1284) per farlo tornare in libertà, lui e due suoi fratelli – Roberto e Raimondo – finirono ostaggi in Catalogna, ospitati, via via, nei castelli di Montcada, Siurana e Barcellona. Trattati con rispetto, ma costretti ad una vita quasi monastica. Fu in questi anni che Ludovico entrò in contatto con i francescani Francois Brun e Pierre Scarrier e, per via epistolare, col teologo Pietro di Giovanni Olivi. Restò, fin dal primo incontro, rapito e sedotto dalla figura di San Francesco d’Assisi, dalla sua scelta radicale di vita e dalla sua rigorosa regola. Tanto che sotto gli abiti principeschi teneva già stretto ai fianchi il cordiglio francescano della penitenza.
Celestino V, il papa “del gran rifiuto” (eletto tra l’altro a Perugia anche se l’eremita, al secolo Pietro da Morrone, non volle venire per l’incoronazione nella città in cui era stato votato, secondo una procedura consolidata, ma optò per L’Aquila, più vicina al suo romitorio) lo creò vescovo nel 1294. Tuttavia il suo successore, Bonifacio VIII (Benedetto Caetani) annullò la nomina. Proprio in quei mesi Ludovico presenziò alla cerimonia di nozze, a Villatraban, della sorella Bianca con il re Giacomo II di Aragona. La sua profonda adesione alla visione francescana lo convinse, l’anno dopo, il 1296, a rinunciare al diritto della primogenitura – a lui spettante per la morte di Carlo Martello, suo fratello maggiore – ed al titolo di re, privilegi lasciati al fratello Roberto d’Angiò.
Nel frattempo aveva avviato il suo cammino sacerdotale: prima suddiacono, quindi diacono, infine presbitero, nomina quest’ultima ricevuta dalle mani dell’arcivescovo di Napoli, Filippo Minutolo. A dicembre vestì – sia pure segretamente – la tonaca di Francesco e, nel gennaio successivo, pronunciò la professione di fede davanti al ministro generale dell’ordine, Giovanni di Morrovalle. Bonifacio VIII lo nominò vescovo di Tolosa e, poche settimane più tardi, in febbraio, Ludovico rese nota la sua appartenenza alla regola francescana indossando, in pubblico, il saio di tela grezza. Avrebbe voluto persino dimettersi, ligio alla regola dettata da Francesco, dalla carica vescovile ritenuta incompatibile con la sua scelta, drastica e convinta, di “madonna povertà”. Ma le gerarchie cattoliche gli si opposero sul punto e si dimostrarono irremovibili. Assistette, a Roma, alla canonizzazione del nonno, re Luigi di Francia.
Iniziò, poi, il viaggio per raggiungere la sede vescovile di Tolosa. Fermandosi, nelle frequenti tappe, non ospite in palazzi signorili, ma nelle cellette nude e semplici dei conventi. Arrivò Parigi dove predicò, con apprezzamento generale, in presenza del re, dei grandi di Francia e dei “maestri” della Sorbona. Fu lui che intervenne, con la forza della sua autorità morale, per ristabilire la pace, a Barcellona, tra il re di Aragona e il conte di Foix. Durante il suo episcopato a Tolosa si segnalò per l’attenzione amorevole accordata agli ultimi: i poveri, i malati, i prigionieri, gli ebrei. Ma, pur giovanissimo – 23 anni appena -, il suo tempo terreno stava per scadere. A Brignoles in Provenza, dov’era nato, fu colpito da un morbo – anche se la sua costituzione fisica era stata sempre fragile e malaticcia con frequenti emottisi, cioè perdite di sangue dalla bocca – che in due settimane lo consumò e lo condusse alla morte il 19 agosto 1297.
La fama della sua bontà, della sua fede incrollabile, della sua santità si sparse immediatamente in tutte le contrade dell’Europa cristiana, attraverso i conventi, i monasteri e le diocesi. I resti furono seppelliti nel convento di San Francesco di Marsiglia, mentre le ossa – che erano state separate – vennero concesse e affidate alla chiesa appartenente allo stesso ordine. Nel Quattrocento, con Marsiglia messa al sacco dagli Aragonesi, quelle ossa vennero trafugate come bottino di guerra ed esposte nella cattedrale di Valencia.
Solo nel 1956 il vescovo della città spagnola consentì all’arcivescovo di Marsiglia di traslare due vertebre appartenute al santo nella chiesa di San Ferreol le Augustin. Le reliquie furono rubate nel 1993: da quel momento se ne sono perse le tracce. Venti anni dopo il decesso, Ludovico venne proclamato santo da Papa Giovanni XXIII, Jacques Duéze (o D’Euse), che proprio da Ludovico, allora vescovo, era stato fatto sacerdote. Alla cerimonia presenziarono la regina madre, Maria ed il re Roberto, suo fratello.
La chiesa cattolica celebra la sua memoria il 19 agosto, giorno del decesso. Ludovico viene venerato, in modo particolare, a Marsiglia e Tolosa in Francia, a Valencia in Spagna e, in Italia, a Marano di Napoli ed a Serravalle Pistoiese. Al Museo Nazionale di Capodimonte, Napoli, è esposto un dipinto di Simone Martini in cui Ludovico, in solenni paramenti sacri, impone sulla testa del fratello, inginocchiato al suo cospetto, la corona reale.
Ma anche Donatello si cimentò con la sua immagine: una statua del Santo in bronzo dorato – opera appunto dello scultore fiorentino – si trova nel museo di Santa Croce a Firenze.
Elio Clero Bertoldi
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