ROMA – Sembrava fosse di genere maschile e, invece, si scopre che il bullismo è femmina. Più dei loro coetanei, infatti, le adolescenti dagli 11 ai 17 anni amano presentarsi come “virago” e guai a cadere nel loro raggio di influenza. Di solito autoritarie, di poche parole, decisioniste e pragmatiche, le bulle possono devastare la vita delle “prescelte”. Maldicenze sul loro conto, sguardi minacciosi, isolamento da parte del gruppo, risolini o qualche parola offensiva pronunciata al loro passaggio, sono solo alcuni dei comportamenti diretti alle ragazze che, o perché timide e riservate o perché brave a scuola o, ancora, proprio perché insicure, ricordano alla giovane aguzzina la sua fragile interiorità. O ciò che vorrebbe essere e non è.
Quante implicazioni dietro un comportamento che sembrerebbe solo un capriccio! La punizione per le vittime – secondo un’indagine Istat nel 2019 erano il 9,9 per cento contro l’8,5 dei maschi ma il fenomeno si è allargato a macchia d’olio – sta in continue vessazioni più subdole che manifeste, le quali possono sfociare, in età adulta, in danni anche gravi come la depressione, gli attacchi di panico o, addirittura, il suicidio. La bulla non dà tregua a chi prende di mira e mentre lo fa non dà all’occhio, per questo è difficile individuarne le mosse. Il suo omologo maschio è più spaccone e agisce più platealmente, viene smascherato dagli adulti perché il più delle volte vuole esserlo.
Tuttavia quello che fa lei è noto a quelli che “devono sapere” dove sta il potere. La bulla, infatti, è una che sa il fatto suo – apparentemente – ed ha già di per sé un seguito di “adepte” che le reggono il gioco. Perseguitare una coetanea per lei è solo una dimostrazione di forza nel gruppo, vittima anch’esso di un’azione manipolatoria e della paura di essere escluso dalla cerchia. Soprattutto, però, le vessazioni sulla subalterna servono alla bulla per gratificare il bisogno di autostima di cui è carente. Il malessere che esprime questo tipo di comportamento è nuovo rispetto al suo primo manifestarsi.
La definizione di bullismo – dal termine inglese “bullying”- fu usata negli anni ’60 per indicare le prepotenze tra pari in un contesto di gruppo, poi con il tempo ha subito molti cambiamenti per inseguire le continue trasformazioni dei comportamenti in esso compresi. Oggi, la versione femminile di questo fenomeno fa riflettere su quali possano essere state le cause di quella che ormai appare una vera e propria devianza. Innanzitutto – procedimento che aiuta sempre a comprendere i fenomeni – si può ragionare sull’origine della parola “virago”, usata in premessa, che rappresenta bene la natura di questa manifestazione così violenta da parte di una ragazza verso le sue simili. Il termine, oggi poco utilizzato ma da rivalutare in questa occasione, deriva dal latino vir e nell’antichità indicava per lo più una divinità femminile dalle doti che, essendo eccezionali, venivano considerate prerogativa maschile. Un termine ambivalente, quindi, che ben si adatta a descrivere la bulla di oggi, figura per la quale il dizionario non offre di meglio che il maschile, non sufficiente a spiegare bene i termini della questione.
Il bullo, secondo la Treccani, ha un significato che va dall’area semantica dell’arroganza, della spavalderia e del teppismo a quella della ostentazione di vanità e pacchianeria. Quella che indichiamo come bulla, invece, è una ragazza che ha una percezione “stonata” di se stessa, che è cresciuta in una famiglia e di conseguenza in una società ormai dimentica del principio femminile che anticamente conferiva alle donne un’autorevolezza che non aveva bisogno della violenza per affermarsi. I suoi valori sono confusi perché confusi sono i valori di sua madre, di sua nonna e così via per generazioni indietro nel tempo. Con una differenza, però. I diritti conquistati dal femminismo non hanno potuto riportare alla memoria quanto cancellato da una mentalità patriarcale che per millenni ha raccontato la storia attraverso la guerra, l’orgoglio e la prevaricazione intese come virtù, naturalmente maschili, e relegando quelle femminili davanti al focolare.
Le ragazze bulle, oggi, non sanno chi sono ed hanno bisogno di aiuto quanto le loro vittime, per ritrovare se stesse. Dentro il fenomeno grave del bullismo, sintomo di una società fragile e spaventata, dove l’individuo non è capace di vivere in un contesto tra pari e di coltivare relazioni sane, quello di queste ragazze è il segno della perdita di identità da parte di un genere detentore del potere straordinario della maternità, dell’accoglienza e, soprattutto, della solidarietà femminile, svilita da questi comportamenti emergenti e urgenti.
Oggi il termine virago torna utile per descrivere quanto sta succedendo nelle ragazze, donne di domani, che non hanno modelli di riscatto sociale cui riferirsi. Gli unici a disposizione, infatti, in politica e sul lavoro, sono donne dimentiche anch’esse dell’antico potere ereditato dalla natura e che si affermano comportandosi come chi ha comandato per millenni: gli uomini. E non sempre i migliori.
Gloria Zarletti
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