PALERMO – “Ci sono uomini che vedono cose che gli altri non vogliono vedere: la povertà, l’abbandono, la sofferenza, la solitudine… Biagio Conte ha visto uomini e donne invisibili, li ha cercati, li ha presi per mano, li ha accolti e accarezzati. Ha attraversato l’intero catalogo delle sofferenze umane, portando ogni croce, ma non ha mai perso il suo sorriso meraviglioso e pieno di meraviglia”. Con queste parole, il giornalista Nicola Alosi ha aperto il Tg Sicilia del 12 gennaio, comunicando la scomparsa di Biagio Conte, missionario laico palermitano morto per un tumore al colon a 59 anni, da trent’anni punto di riferimento per i poveri e gli emarginati del capoluogo siciliano.
Per chi non lo ha conosciuto, non è facile intuire l’enorme fascino di un uomo semplice nella sua straordinarietà, ma che ha preso sul serio il “Beati i poveri” del Vangelo e lo ha testimoniato con la sua vita. Come ha sottolineato l’arcivescovo di Palermo, Corrado Lorefice: “Biagio ha sentito la presenza di Dio dentro di sé, tanto da riuscire a cambiare la città e a diventare un segno profetico per Palermo”.
La storia della sua vita presenta analogie con quella di san Francesco d’Assisi: anche Biagio abbandona da giovane gli agi di una famiglia benestante per andare a vivere in meditazione e in povertà all’interno della Sicilia. Ecco come ci racconta l’inizio della sua ricerca esistenziale e spirituale Sandro Riotta, un cittadino palermitano vicino alla famiglia di Biagio: “Per ragioni di lavoro conoscevo suo padre, un impresario edile. Nel 1990 lo vidi piangere disperatamente, aveva perso Biagio. Denunciò la sua scomparsa, si rivolse pure a ‘Chi l’ha visto’…”.
Biagio se ne era andato di casa per cercare disperatamente la sua vocazione, che prima credeva fosse quella artistica, per questo aveva vissuto per qualche tempo a Firenze. Poi, a ventisei anni, era scappato a piedi ad Assisi, in compagnia solo del suo cane Libertà. In Umbria Biagio sente di volersi dedicare all’aiuto degli ultimi e pensa di andare come missionario in Africa. Ma, tornato a Palermo, rimane impressionato dalle sacche di miseria e dai tanti bisognosi esistenti in città. E decide di fare il missionario nella sua terra.
Comincia così a soccorrere i tanti – barboni, alcolisti, stranieri, giovani sbandati, prostitute – che stazionavano la sera nei pressi della Stazione Centrale. Li avvicina e dona loro quello che riusciva a racimolare e a raccogliere nella sua 500 bianca: latte, biscotti, the caldo… A poco a poco, diviene un punto di riferimento per gli ultimi della città. Fa il suo primo digiuno all’inizio degli anni ’90 per sensibilizzare le Istituzioni sui bisogni e la sofferenza dei troppi poveri di Palermo: con la sua tenacia e il suo disarmante sorriso riesce a muovere le acque stagnanti di una città allora considerata la capitale della mafia. A Biagio sono assegnati alcuni locali in via Archirafi: nasce finalmente la “Missione Speranza e Carità”, dove i bisognosi ricevono cibo, vestiti, sostegno e, se necessario, un posto dove dormire. L’iniziativa si sostiene con contributi soprattutto di privati cittadini che donano soldi, manodopera o contributi alimentari di vario genere.
Ma Biagio non si ferma alla realizzazione della struttura di via Archirafi: lotta, con proteste e digiuni, perché si apra anche una casa di accoglienza per donne in difficoltà: donne senza casa, prostitute tolte alla strada, ragazze madri da supportare per reinserirle in un percorso di sostegno. Così, alla fine degli anni ’90, a Palermo sorge una casa anche per loro. E poi, negli ultimi anni, viene realizzata una terza struttura, vicina alla prima, per accogliere altri uomini in difficoltà.
Nella camera ardente che ha accolto la salma di Biagio c’è stato un viavai ininterrotto di gente; per il suo funerale, celebrato in cattedrale il 17 gennaio dall’arcivescovo di Palermo, la chiesa era gremita, con tantissime persone nel piazzale antistante. A rendergli omaggio e a pregare per lui musulmani, ebrei, indù, protestanti, cattolici, credenti e non credenti. Biagio Conte non ha mai chiesto a nessuno quale fosse la sua religione: per lui la misericordia superava ogni diversità e univa l’umanità in un unico abbraccio.
Lorefice ha ricordato nella sua toccante omelia che “il 15 settembre del 2018, Papa Francesco a Palermo scelse di non entrare in nessun palazzo, non entrò nel palazzo Comunale, non entrò nel palazzo della Regione, non entrò a Palazzo Arcivescovile. Il Papa scelse di ‘vivere’ Palermo attraverso i segni concreti realizzati da Biagio e dalla comunità della Missione, insieme agli ospiti, ai bambini, ai volontari”.
Biagio non le mandava a dire neppure su temi come l’impegno contro la guerra e la lotta per la tutela dell’ambiente. In un suo appello del 18 novembre scorso, scriveva, col suo stile rude e diretto: “Basta Italia, non costruire mai più armi, ma strumenti di lavoro: fratelli e sorelle politici e autorità, vi invito a cambiare il modo di vivere e di governare: mettendo in pratica così il dono di essere dei veri costruttori di Pace. Italia, hai il dovere di fermare la guerra in Ucraina e in Russia e non di alimentarla ancora, come hai fatto negli anni, fornendola di tantissime armi, non solo lo Stato dell’Ucraina, ma anche tantissimi altri Stati di tutto il Mondo”.
E il 23 settembre aveva indirizzato ai giovani di Friday for Future un messaggio di solidarietà, che iniziava con queste parole: “Amati e preziosi giovani del Friday For Future siete il futuro e la speranza, chi dovrà migliorare questo mondo siete voi. Ma è doveroso che noi adulti vi diamo una mano, un aiuto, anche se siamo responsabili di avervi consegnato un mondo corrotto, pieno di materialismo e di consumismo e di tecnologia usata male, che purtroppo non rispetta il buon Dio e tutto l’ambiente che ci sta attorno. E così tristemente si continua ancora oggi a maltrattarlo e ad inquinarlo”.
Biagio dunque Santo subito? Ecco cosa scrive don Cosimo Scordato, teologo palermitano: “La sua testimonianza è una critica silenziosa ai sistemi che stritolano la nostra umanità, i sistemi che lasciano ai margini miliardi di persone. Biagio ha lavorato con i poveri, non per i poveri. Ci consegna una nuova prospettiva del mondo. Biagio è già beato per l’impegno in vita. Questo al di là di ogni eventuale processo di beatificazione che potrà arrivare”.
Gli fa eco la giornalista Dorella Rizzo: “Perché bisogna per forza proclamare tutti coloro che si sono prodigati per gli altri oltre misura… santi? Ascoltando in tanti anni le notizie giornalistiche che parlavano dei sacrifici fatti da fratel Biagio per il prossimo, quando si incatenava e si dispiaceva per l’indifferenza della società nei confronti dei fratelli bisognosi, ho sentito tutta la disperazione di un uomo, di un laico che non è rimasto a guardare in silenzio… Siete sicuri che un uomo che ha scelto di servire il Signore da laico senza voler essere nessuno aspetti o sia felice di essere proclamato nientedimeno che Santo? Lasciamo che la sua vita rimanga un esempio che tutti possono emulare, per diventare più che santi direi… uomini migliori.”
“Con quel suo sguardo azzurro che sembrava sempre un po’ meravigliato, sospeso a metà, tra le rughe d’espressione della fronte, e un sorriso largo, disarmante, contagioso, perfetto” fratel Biagio continuerà comunque a sorridere. Non perché proclamato santo – anche se le premesse ci sono tutte – ma soprattutto se, seguendo il suo esempio, continueranno a essere realizzati nella nostra terra martoriata “frammenti di vita alternativa di comunità gioiose, spazi di lavoro, di condivisione e di bellezza”, come ci ricorda don Cosimo Scordato.
Allora, grazie di cuore, caro Biagio, per aver tracciato a Palermo una via illuminata, gioiosa e creativa di santità universale: osare l’impossibile per il bene di tutti.
Maria D’Asaro
Certo una testimonianza che ci interroga e responsabilizza