MILANO – Il Brigantaggio degli anni post-unitari (1861-1865) nelle regioni meridionali assunse un carattere politico e sociale ed ebbe particolari ripercussioni nella storia del Regno d’Italia, trasformando quelle zone in terra di briganti e campo di dura repressione militare. “E Ninco Nanco deve morire perché si campa putesse parlare/E si parlasse putesse dire qualcosa di meridionale/. E Ninco Nanco deve morire perché la storia così deve andare/E il Sud è terra di conquista e Ninco Nanco nun ce po’ stare”, questo è il refrain della tarantella cantata da Eugenio Bennato che, sulle note del caldo ritmo popolare, narra l’epopea di un brigante lucano: Giuseppe Nicola Summa detto Ninco Nanco (Avigliano, 1833 – Frusci 1864).
Come gran parte dei briganti dell’epoca, la figura di Ninco Nanco venne idealizzata dalla narrazione popolare, che ne fece un fuorilegge buono e giusto, quasi un novello Robin Hood difensore dei deboli e dei loro diritti negati. La leggenda fu anche alimentata dal fatto che il regio esercito represse con estrema forza le rivolte meridionali, in molti casi non facendo distinzioni tra briganti e contadini; scelta che finì col favorire l’instaurarsi di legami tra la malavita e i tanti emarginati che vivevano in condizioni di degrado e profonda arretratezza e che ritennero di poter trovare maggiore tutela in questa organizzazione illegale e potente, quasi si trattasse di un anti-Stato.
In area tarantina e salentina operò, tra gli altri, il brigante Pizzichicchio, pseudonimo di Cosimo Mazzeo (San Marzano di San Giuseppe, 1837 – Potenza, 1864), che nei boschi e nelle gravine del luogo si batté contro l’esercito italiano. La politica accentratrice del neonato Stato non seppe integrare le regioni meridionali, pertanto fu percepita e subita come espressione dei nuovi conquistatori e colonizzatori, dei “Piemontesi al potere”, che sostituivano i vecchi dominatori. Incapace di comprendere e men che mai di risolvere in qualche modo gli enormi problemi economici e sociali delle regioni del Sud, il nuovo Regno Italiano si limitò ad imporre nuove tasse, tra cui quella assai odiosa sul macinato. E nuovi obblighi come quello del servizio di leva e quello scolastico, alimentando di fatto l’appoggio ai briganti da parte delle classi disagiate.
Si mescolarono così il brigantaggio in senso proprio con le azioni malavitose di tipo mafioso, nonché gli ingenti interessi politico/economici dei vecchi latifondisti, dei Borboni, dello Stato Pontificio (difensori strenui dello status quo) e quelli dei nuovi governanti; mentre venivano sottaciuti, ignorati o negati bisogni, diritti ed aspettative della popolazione. Il nuovo Stato si caratterizzò da quel momento per la disuguaglianza dello sviluppo delle regioni, le cui cause si possono individuare, in ottica gramsciana, nella mancata riforma agraria e nel blocco sociale tra industriali del Nord, latifondisti del Sud e classe dirigente liberale. Le varie inchieste parlamentari, costituite per analizzare la cosiddetta “Questione meridionale”, non conseguirono grandi risultati ed ancora oggi, purtroppo, se ne continua a parlare quasi negli stessi termini.
Non da tutti è condivisa l’analisi di area gramsciana perché ritenuta obsoleta e di parte; ma qualsiasi causa si voglia addurre e sposare come valida, la storia del complesso industriale (1960) Italsider, poi Ilva, quindi ArcelorMittal/Acciaierie d’Italia nella città “dei due mari” merita una riflessione. Il 31 maggio 2021 si è concluso a Taranto, presso la Corte d’Assise presieduta dal giudice Stefania D’Errico, il processo denominato “Ambiente Svenduto” nei confronti dell’ex Ilva per presunto disastro ambientale; sono state inflitte 26 condanne in tutto tra dirigenti della fabbrica, manager e politici (locali e nazionali) per complessivi 270 anni di carcere. Nel novembre del 2022, sono state depositate le motivazioni della sentenza (oltre 3mila e 700 pagine); ma tra le migliaia di pagine c’è un’intercettazione che soprattutto lascia senza parole: si tratta della frase “Due tumori in più all’anno… una min…ta!” pronunciata da Fabio Riva, ex proprietario e amministratore dell’Ilva condannato a 22 anni in primo grado, durante una conversazione telefonica intercettata dalla magistratura con un rappresentante aziendale.
La Corte d’Assise sottolinea, nelle motivazioni, che essa “riassume meglio di ogni altro elemento di prova la volontarietà della condotta delittuosa posta in essere dagli imputati e anzi la consapevolezza degli effetti dell’inquinamento sulla salute della popolazione tarantina”. In attesa della sentenza definitiva che accerti ogni responsabilità, la solidarietà non può che andare a tutti coloro che di “acciaio” sono morti o continuano a soffrire per motivazioni varie: per la tollerata negligenza causa di troppe morti bianche; per l’inosservanza dolosa della normativa antinfortunistica; per la mancata installazione di strutture antinquinamento a salvaguardia dell’ambiente e per tutti i Wind days, quando la polvere rosa dei metalli trasportata dal vento ricopre alcuni quartieri; per l’imposizione dell’aut/aut tra diritto al lavoro e diritto alla salute; per la devastazione di una polis (Τάρας, Taras) che i Greci avevano eletto come tra le più importanti e fiorenti della Magna Grecia; per l’inquinamento del suo mare e del fiume Galeso, cantati da tanti poeti del mondo classico per la loro limpida bellezza.
Troppe famiglie di Taranto, soprattutto dei quartieri o comuni più vicini alla zona industriale, piangono i loro cari e la curva dei tumori è decisamente preoccupante; nel frattempo gli organismi scientifici continuano a discutere per stabilire un nesso certo tra le emissioni dell’ex-Ilva e l’aumentare delle neoplasie, la giustizia prosegue il suo corso, la politica continua a discutere o peggio ad emanare decreti legge, in assenza di qualsiasi programmazione a lungo termine. La società civile ha così sviluppato innumerevoli iniziative ed è impossibile citarle tutte; si pensi soltanto alle donne ed alle “mamme combattenti” che protestano per impedire che i loro figli crescano accanto ad una fabbrica di cancro; alle campagne di informazione dei vari comitati, della rete telematica Peacelink, dei giornali e delle associazioni ecologiste locali; alle inchieste di varie testate nazionali, ai servizi di trasmissioni televisive, tra cui quella di Nadia Toffa, insignita della cittadinanza onoraria, che con “IE JESCHE PACCE PE TE!! (Io sono pazzo di te!) si era fatta promotrice di una raccolta fondi, che continua anche dopo la sua morte, consentendo di finanziare il reparto di oncologia pediatrica nell’ospedale cittadino e l’assegnazione di borse di studio per i medici ed i ricercatori impiegati in tale ramo della medicina.
Moltissimi altri quotidianamente con consapevolezza, fierezza e dignità si adoperano per la rinascita di una città che vecchie e nuove scelte politiche hanno devastato e che Pasolini, nel suo viaggio del 1959, così descriveva: “Taranto è la città perfetta. Viverci, è come vivere nell’interno di una conchiglia, di un’ostrica aperta. Qui Taranto nuova, là, gremita, Taranto vecchia, intorno i due mari e i lungomari… Taranto, che sui suoi due mari scintilla come un gigantesco diamante in frantumi”.
Adele Reale
Nell’immagine di copertina, un panorama di Taranto: sullo sfondo i fumi prodotti dall’acciaieria
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