TARANTO – Di Ateneo di Naucrati, uno scrittore egiziano di lingua greca del II-III secolo d.C., ci sono pervenuti alcuni libri dell’opera Δειπνοσοφισταί (Deipnosofisti), in cui l’autore racconta all’amico Timocrate delle amene conversazioni tenutesi tra i dotti partecipanti ad un banchetto: salute, sesso, cibo e musica gli argomenti più ricorrenti, affrontati sotto l’effetto di abbondanti libagioni.
Nulla di serio, si direbbe. Ateneo, però, tra una battuta e l’altra, arriva a citare 700 autori ed almeno 2500 opere, sicché, considerando anche che Naucrati dista un’ottantina di chilometri da Alessandria, viene da supporre che fosse, quanto meno, un assiduo frequentatore della famosissima biblioteca e che i suoi riferimenti bibliografici siano piuttosto attendibili.
In un passo del dodicesimo libro, Ateneo cita un’opera di Clearco di Soli, un filosofo cipriota del IV secolo a.C., titolata Περὶ βίων (A proposito di vite), di cui propone un brano, qui liberamente ma fedelmente tradotto, ove si narra della conquista di Carbina – l’odierna Carovigno (Brindisi) – da parte di Taranto: «Clearco, nel quarto libro delle sue Vite, afferma che i Tarantini, acquisiti ricchezza e potere, si lanciarono nel lusso più sfrenato, tanto che, primi fra tutti, presero a depilarsi il corpo per renderlo liscio e morbido e ad indossare vesti trasparenti ornate da bellissime frange color porpora, simili a quelle che oggi cingono la vita delle donne. Una volta, trasformati da questa frenesia in esseri sfrontati ed arroganti, conquistarono la città degli Iapigi chiamata Carbina. Poi, dopo aver radunato nei templi fanciulli, adolescenti e le donne più giovani, esibirono per giorni le loro nudità davanti alla folla di curiosi: chiunque ne sentisse l’impulso poteva liberamente gettarsi su questi sfortunati e soddisfare i suoi impulsi libidinosi, senza rispetto per il sacro luogo. Tale oltraggio suscitò lo sdegno del dio, che colpì con fulmini tutti i tarantini che a Carbina si erano comportati empiamente. Ancora oggi, davanti alle case di Taranto, è collocata una stele in ricordo di coloro che vi perirono e in ogni anniversario i tarantini non piangono i defunti né dedicano loro le consuete libagioni, ma offrono sacrifici Διὶ Καταιβάτῃ (a Zeus Fulminatore)».
La distruzione di Carbina risale al 473 a.C., ma Ateneo (chissà Clearco…) non ci informa che, appena un anno più tardi, gli Iapigi inflissero attorno alle colline di Kailìa, l’odierna Ceglie Messapica (Brindisi), una durissima sconfitta ai Tarantini ed agli alleati di Reggio: Erodoto riferisce di tremila morti reggini e aggiunge αὐτῶν δὲ Ταραντίνων οὐκ ἐπῆν ἀριθμός (i caduti tarantini non si contavano). Come mai Clearco o lo stesso Ateneo non ne fanno cenno? In effetti, gli scrittori avrebbero potuto concludere il racconto ricordando che, solo pochi mesi più tardi, la coalizione iapigia vendicò, con gli interessi, l’infamia di Carbina e sottolineare che, se i Messapi non avessero deciso di concludere immediatamente ogni ostilità, Taranto sarebbe sicuramente caduta…
Perché Clearco (e Ateneo con lui) non condanna, a ben vedere, lo stupro di massa ma l’empia violazione delle τεμένη (aree sacre) dei templi? E Zeus scaglia fulmini non contro degli stupratori ma contro dei profanatori?
Perché la guerra è guerra: si vince, si perde, si distrugge, si ricostruisce, si commettono atrocità… E’ la guerra. E, tutto sommato, Clearco e Ateneo non hanno torto: non devono essere i morti, le case distrutte, le violenze, le deportazioni a farci inorridire, ma la guerra stessa, che ancora oggi, dopo più di due millenni, viene considerata un’opzione possibile, magari remota, per risolvere le controversie tra gli Stati.
Non va ripudiato, tuttavia, solo il conflitto armato, ma anche ciò che lo sottende: le discriminazioni, le diseguaglianze, l’intolleranza, l’arroganza del più forte, la cupidigia del potere… I Romani dicevano “Pax!” per intendere “Sta’ zitto!”, “Non rompere!” e Tacito fa pronunciare al generale “scozzese” Calgaco, prima del cruento scontro presso il monte Graupio, la frase Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant (Chiamano pace la desolazione che provocano): non è pace vera quella fondata sul terrore o sull’equilibrio degli arsenali militari. La pace va conquistata con la forza della ragione e mantenuta con l’impegno costante di ognuno. Non “fiori nei cannoni” ma libri al posto dei cannoni: l’unica arma, potentissima ed irrefrenabile, per far guerra alla guerra è la cultura.
Riccardo Della Ricca
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