MILANO – È incredibile notare quanto la parola “odio” si caratterizzi per analogia fonetica e semantica in tante lingue: dal verbo latino odisse con lo stesso significato italiano, alla radice indoeuropea vad o vuad risalente al Sanscrito avadhit, con l’accezione di respingere, al vad dell’antico Persiano che vuol dire battere. Etimi tutti che rimandano a repulsione, rifiuto, allontanamento. Perché questo riferimento ad una parola e foneticamente a dei segni? Perché le parole sono espressione di quello che siamo, di quello che pensiamo e possono avere conseguenze piccole o pericolosamente grandi dal momento che sono oggi amplificate a livello planetario dalla Rete.
Quest’ultima è indubbiamente uno strumento di promozione culturale e favorisce un’informazione pluralista e libera ed in un certo senso anche i legami sociali, tuttavia dà voce ad espressioni e immagini di odio, diffamatorie, vessatorie, violente quasi sempre a danno di minoranze o di soggetti più fragili. Chi naviga sul web e frequenta i social network si sarà imbattuto più di una volta nei cosiddetti “haters”, i quali nascondendosi sotto vari nickname, spargono veleno sulle discussioni con i loro commenti; infangano personaggi pubblici o cittadini privati ricorrendo a calunnie ed a vere e proprie fake news.
Sul sito di Amnesty International sono riportati i risultati di una ricerca effettuata durante l’ultima campagna elettorale ed inseriti nel programma” Il barometro dell’odio”, che intende misurare in che modo e contro chi si sviluppano discorsi d’odio in Rete. Gli attivisti dopo aver monitorato i profili social – Facebook e Twitter – di tutti i candidati ai collegi uninominali di Camera e Senato di ogni forza politica in campo, hanno rilevato una pericolosa impennata della “pressione nel barometro dell’odio”. In soli 23 giorni hanno raccolto ben 787 segnalazioni “più di un messaggio offensivo, razzista e discriminatorio all’ora moltiplicato dalla Rete”. Autori delle dichiarazioni 129 candidati del sistema uninominale, di cui 77 sono stati poi eletti; alla base sempre una narrazione falsante e stereotipata (il 32% delle segnalazioni conteneva fake news e dati alterati) inerente a tematiche connesse con i migranti, la discriminazione di tipo religioso e di genere, la sicurezza (il 7% delle dichiarazioni incitava direttamente alla violenza).
Non mancano gli esempi di attacchi ai singoli: nel luglio del 2017 gli haters si sono scagliati anche contro un giovane atleta Valerio Catoia, con la sindrome di Down, che a Sabaudia aveva salvato una bambina di dieci anni dall’annegamento. “Guardatelo, sembra un cane”, “doveva morire…” questi sono solo alcuni degli insulti pubblicati su un gruppo Facebook. Valerio, per il coraggioso gesto, ha ricevuto molti premi e riconoscimenti ed il Presidente Sergio Mattarella lo ha nominato Alfiere della Repubblica, un’onorificenza destinata a tutti quei giovani che si siano distinti nella partecipazione e nella promozione del bene comune, nel volontariato e in singoli atti di coraggio. Valori che spesso non sono di casa sui social network.
Tanti i personaggi famosi bersaglio di questi “odiatori” seriali che talvolta giungono ad augurare persino la morte; purtroppo tanti anche gli adolescenti bullizzati ed in casi estremi spinti al suicidio da questi spregevoli individui che si sentono forti, ma che vigliaccamente agiscono nell’anonimato e nella non visibilità. Umberto Eco ne Il cimitero di Praga scrive come il senso dell’identità possa fondarsi sull’odio: “Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria. L’odio è la vera passione primordiale… Non si ama qualcuno per tutta la vita, da questa speranza impossibile nascono adulterio, matricidio, tradimento dell’amico… invece si può odiare qualcuno per tutta la vita”. Perfino lo sport ne è contaminato, tanto che gli striscioni di alcuni ultras arrivano ad esternare odio per la squadra avversaria o per una comunità, fino a quell’incredibile “Odio tutti” comparso ultimamente negli stadi.
Per contrastare l’hate speech la Commissione Europea ha promosso, dal 2016, un codice di condotta (non condiviso da tutti i paesi) che ha imposto alle piattaforme specifici obblighi di collaborazione, tra cui il potere di rimozione di contenuti ritenuti illeciti. Questo può avere un impatto rilevante sulla libertà di espressione, ancor più quando oggetto di censura siano idee politiche. Ambigua, quindi, l’attribuzione a soggetti privati di funzioni di competenza dell’autorità pubblica; ne sono esempi l’assalto del 2021 a Capitol Hill, Washington DC, dopo il quale Facebook e Twitter hanno deciso di sospendere l’account dell’ex presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, o la sparatoria del 2019 a Christchurch (Nuova Zelanda, 50 vittime), il cui autore Brenton Harrison Tarrant ha trasmesso il video in diretta Facebook.
È auspicabile, pertanto, che la tutela di diritti fondamentali, quali dignità e libertà di espressione, sia sempre affidata all’autorità pubblica, impedendo tanto derive censorie, quanto il rischio che la Rete, dando voce a non ben precisati diritti di tutti, divenga il luogo in cui impunemente quelli sanciti dalla Costituzione vengano calpestati. La situazione italiana dal punto di vista normativo non è rassicurante, il regolamento Agcom sull’hate speech del 2019 stabilisce le norme di comportamento per i fornitori di servizi di informazione ed intrattenimento audiovisivi e radiofonici; in caso di violazioni gravi e sistemiche è previsto da parte dell’Agcom un procedimento sanzionatorio.
Più recentemente il nuovo Testo Unico dei servizi di media audiovisivi (D.lgs n. 208/2021) ha introdotto l’art. 30 a norma del quale i servizi di media audiovisivi “non devono contenere alcuna istigazione a commettere reati ovvero apologia degli stessi” ed ha rafforzato i poteri dell’Autorità, dotandola di strumenti di intervento anche nei confronti di alcuni soggetti che operano on line. Epidemia di odio inarrestabile, quindi? Assolutamente no! Basti rilevare come essa si basi essenzialmente su una verbosità volgare ed aggressiva, dura e tagliente nei toni, ma con contenuti assolutamente irrisori. L’importante per gli haters, in definitiva, è essere schierati contro qualcuno o qualcosa, fosse anche il nulla; ma soprattutto per loro è fondamentale urlare di esserlo!
Adele Reale
Lascia un commento