MILANO – «Dopo tutti questi anni di vita musicale mi sento anche un figlio della gente che ha imparato a conoscermi piano piano, con sorrisi sinceri, dimenticandomi e poi riprendendomi, io che vinco a Sanremo con “Vorrei incontrarti tra cent’anni” nel 1996: era una salita piena di novità». Lo ha confidato Ron parlando del suo nuovo album “Sono un figlio” in uscita venerdì scorso, a distanza di otto anni dal suo precedente lavoro in studio. «Questo disco dà vita ai miei primi 50 anni musicali – ha aggiunto il cantautore –. É tutto nuovo, dopo il precedente di canzoni inedite e gli altri due che raccolgono la mia vita musicale, l’antologia “Non abbiam bisogno di parole” contenente 67 brani tra i miei più grandi successi: ce ne sarebbero ancora altri da mettere».
Composto da 13 canzoni e dedicato a suo padre Savino, “Sono un figlio” è il ritratto di un artista in stato di grazia, un Ron che racconta se stesso, come mai prima. «Un giorno trovai un mio vecchio diario e aprendolo ho letto questa storia che mi avevano raccontato mio papà Savino e mia mamma Maria – ha rivelato –. Mi sono sentito un figlio felice perché erano persone meravigliose, una storia bellissima, nata durante la seconda guerra mondiale, un amore gigante, i dettagli di una vita dura ma piena di sogni da realizzare: mi sono sentito un figlio vero. Il ricordo di una storia vissuta per arrivare all’amore universale».
“Questo vento” è l’unico duetto dell’album, con Leo Gassman. «Avevo visto Leo a Sanremo quando vinse fra i giovani e mi diede la sensazione di essere uno molto capace, grande cantante, giovane e intelligente, molto pieno di talento – ha sostenuto – Ho pensato che lui avrebbe potuto essere mio figlio in questa canzone, io di un’altra generazione e lui più giovane di me; ha accettato perché gli piaceva la storia e l’ho lasciato libero di scrivere le parole che lo riguardavano dando una botta di vita anche al testo: cantando insieme questa canzone è stata una bellissima sorpresa». “Più di quanto ti ho amato” è firmata anche da Bungaro e questa versione dell’album è diversa da quella del singolo uscito in primavera. «Mi piaceva così tanto ed ho provato a fare due arrangiamenti e renderli nuovi – ha confessato Ron – Appena Tony Bungaro me l’ha fatta sentire mi sono emozionato molto perché mi ci sentivo dentro: viviamo un tempo in cui si fa fatica ad amare qualcuno in modo intenso. Ho voluto subito cantarla: è una grande canzone, anche se non è mia, perché se una canzone è bella non vedo perché non si debba cantarla, come successe con “Una città per cantare” non mia, perché ci sono delle cose che ti assomigliano ed è giusto che siano in bocca a te».
Ron firmò per Lucio Dalla “Attenti al lupo” che è diventato un evergreen, dopo “Piazza grande” per Sanremo nel 1972. «Lucio venne ad ascoltare il disco mio “Apri le braccia e poi vola” e gli feci sentire anche questa qui: mi chiese se la cantavo io e quando gli risposi forse no, perché non la sentivo molto mia, mi chiese che se gliela davo avremmo venduto un milione di dischi – ha ricordato –. Lui era sempre molto esagerato sulle cifre dei dischi venduti ma poi ne vendette addirittura un milione e mezzo e la cosa fu pazzesca: ci metteva tutto se stesso, il suo talento, la sua genialità, il balletto che si inventò sulla canzone e divenne una canzone di tutti, anche dei bambini».
Si deve a Lucio Dalla anche la scelta del nome d’arte Ron, dopo l’esordio come Rosalino Cellamare. «Un giorno mi disse basta con Rosalino, non sei più giovane e mi disse che lo dovevo cambiare e mi dovevo chiamare Ron: gli risposi che era pazzo completamente, poi mi ha convinto e il giorno dopo ero Ron».
Ron ha prodotto e lanciato un giovane cantautore chiamato Biagio Antonacci. «Faceva il carabiniere a Garlasco e avevo notato questa camionetta blu con un tizio dentro magro e lungo che mi veniva sempre dietro – ha fatto notare –. Mia mamma ricevette un enorme mazzo di rose da lui e mi chiese perché non lo volevo conoscere: in qualche modo voleva arrivare a me, venne a casa mia e mi disse che preferiva Concato ma che io gli andavo comunque bene, mi fece sentire delle cose sue e ho scoperto una personalità di grande talento, con una simpatia veramente forte, capace di convincere, che credeva in se stesso ed ha avuto tutto il successo che merita».
L’album si chiude con “I gatti”, brano scelto per l’uscita dell’album, una canzone poetica e velata di malinconia. «I gatti sono creature eccezionali, sono strane e non le puoi capire subito, immediatamente corrono da te e poi scappano via ma con un po’ di fiducia dentro di noi per poi conquistarli – ha precisato – Sono creature che amo molto e in questa canzone sono amate anche da chi le racconta e sono dentro a questa storia d’amore fra due persone che si sono purtroppo lasciate e lui è molto triste».
Nel disco anche la cover “Break my heart again” di Finneas O’Connell (il fratello di Billie Eilish) diventata “Quel fuoco”.
Franco Gigante
Lascia un commento