PERUGIA – Sosteneva, Luciano Gaucci, di aver fatto piangere la regina Elisabetta II quando il suo Tony Bin, trottatore della “White Star” (scuderia di Lucianone e, quasi certamente, di Giulio Andreotti), aveva dominato l’Arc de Triomphe, a Parigi nell’ottobre del 1988. Un cavallo, tra l’altro, acquistato in Irlanda, territorio del Regno Unito, per appena sette milioni di lire e che fruttò a Gaucci qualcosa come dodici miliardi tra premi vinti e la vendita, quale animale da monta, ad un allevatore giapponese. Forse esagerava l’ex autista romano di bus diventato vicepresidente della Roma e poi del Perugia, ma di sicuro l’esponente di casa Windsor sarà rimasta allibita per essere stata battuta da un plebeo, considerata la passione per i cavalli e le cure (e le spese) dispensate per la propria scuderia, fondata proprio nell’anno della sua incoronazione (il 1952) e contrassegnata dai colori viola (della giubba, con treccia d’oro) e nero (del cappello, con frangia dorata), contro la stella bianca al centro di un drappo rosso dei colori gaucciani.
Elisabetta, bimbetta, aveva ricevuto in dono dal nonno re, un pony di nome Peggy di razza Shetland e cavalcava già a 7-8 anni. In groppa ai suoi purosangue è montata sino a pochi mesi prima di morire e di questa sua passione sapevano tutti, tanto che Emanuel Macron le aveva regalato un purosangue pochi anni fa e altrettanto aveva fatto l’azero Ilham Aliyev. Una sorta di mal di famiglia, l’ippica: la figlia Anne e la nipote Zara Tindall, sono state pure olimpiche. Raccontano che la regina, ogni mattina a colazione, leggesse giornali specializzati come Racing Post e Sporting Life, per tenersi aggiornata sulle corse dei cavalli. E non si è mai persa un GP Royal ad Ascot e un GP King George e Queen Elisabeth Diamond Skates. Nel 2012 un suo cavallo, Estimate, primeggiò in questa corsa e la regina, gongolante, ritirò il premio addirittura dalle mani del marito, Filippo.
Lilibet, come la chiamavano in famiglia, nel castello di Windsor, sede della scuderia, era abituata a cavalcare da sempre, accompagnata da uno scudiero (il più conosciuto Otto Just) e fino all’ultimo amava carezzare e “viziare” i suoi puledri offrendo loro gustose carote, prendendole, ad una ad una, dal cestino che un addetto alle stalle le accostava alla mano. Stessa inclinazione Elisabetta nutriva per i cani. Quando il padre era ancora duca di York – nel 1933 – regalò alla figlioletta un cagnolino, Susan, di razza corgi Pembroke (canidi provenienti dalla omonima contea del sud del Galles), divenuta capostipite dell’allevamento reale (44 gli esemplari allevati da allora ad oggi). Dopo la morte di Whisper, nel 2018, però la sovrana non ha voluto aumentare più il numero della… muta. Ma anche in quest’ultimo periodo a farle compagnia, negli appartamenti reali a Balmoral, ne giravano quattro: due corgi, Muick e Sandy, un dorgi (meticcio tra corgi e dachshund) di nome Candy e un cocker spaniel, Lissy.
Tra gli hobby della regina, stranamente, anche i motori e la meccanica. Tendenza maturata negli anni della Seconda Guerra Mondiale quando, da principessa, svolse l’attività di ausiliaria, nel Servizio Territoriale. Guidava persino i camion ed era stata addestrata ad accomodare e mettere a punto i motori. Suona strano pensare alla delicata futura regina con le mani sporche di olio…, ma così è: le immagini filmate lo testimoniano. Pur avendo ottenuto sul campo queste “specializzazioni” ed amando molto guida le auto, la regina non ha mai conseguito la patente, che nel Regno Unito viene rilasciata a nome di sua Maestà: dunque, per la regina non serviva un documento formale.
Altro aspetto singolare di Elisabetta: dal 1992 è stata la prima sovrana inglese che ha deciso di pagare le tasse. I regnanti non le hanno mai versate. Sotto ogni latitudine. Per diritto reale, risalente al 1300 – altra curiosità – i sovrani inglesi sono “proprietari” di tutti gli storioni, i delfini, le balene che si muovono in acque britanniche e persino dei cigni (purché non risultino inanellati) oltre che dei cervi dei boschi. Altro aspetto poco conosciuto della sovrana riguarda l’interesse per i gialli (dicono che non fosse, in genere, una lettrice di libri) di Agatha Christie e la sua propensione al collezionismo di opere d’arte e anche di francobolli.
La regina – che ha lasciato un patrimonio stimato di oltre venti miliardi di dollari (tra i quali il ducato di Lancaster che risale al 1399; il castello di Balmoral in Scozia e di Sandringham nel Norfolk, ma non il castello di Windsor e Buckingham Palace appartenenti allo Stato e concessi solamente in uso alla casa reale) – coltivava anche un’altra piccola… debolezza: l’alcol. Le piaceva brindare con un calice di champagne, ma soprattutto, a mezzogiorno, gustarsi un gin Dubonnet, rinfrescato da cubetti di ghiaccio (rotondi, non quadrati perché fanno meno rumore). In alcune occasioni prediligeva sorseggiare un Martini dry (stessa vocazione di James Bond…).
Inoltre ha lasciato anche la ricetta di un distillato di ginepro dalla dizione inequivocabile: “Buckingham Palace”.
Elio Clero Bertoldi
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