MILANO – Dal recente rapporto, pubblicato nel quotidiano Nepszava e redatto dall’Ufficio dei revisori economici del Parlamento ungherese, si evincono i dati di una ricerca che ha coinvolto 700 tra studenti e genitori: nell’ultimo decennio nelle università ungheresi si sono iscritte più donne che uomini (54,5%) e contemporaneamente è cresciuto il tasso di abbandono degli studi universitari da parte degli uomini. Aggiungono i sedicenti esperti che “un domani l’Ungheria sarà popolata da troppe donne istruite che, immancabilmente, non troveranno uomini alla loro altezza e quindi non si sposeranno e non genereranno figli”. Gli stessi rilevano, inoltre, che sarebbe costituito dalle donne l’82% del corpo docente di scuole e atenei ungheresi per sottolineare che “chiunque abbia visto un ragazzo giocare a calcio sa che gli uomini sono in grado di svolgere compiti con un livello di concentrazione molto alto […] se l’istruzione favorisce tratti femminili come la maturità emotiva e sociale, favorendo la sovra-rappresentanza delle donne nelle università, l’uguaglianza (dei sessi) sarà notevolmente indebolita”.
Niente di nuovo sotto il sole. Decimo Giulio Giovenale, scrittore latino vissuto nella seconda metà del primo secolo d.C. e gli inizi del secondo, dedica una satira intera alle donne. La Satira sesta dell’opera “Saturae” è uno degli esempi più significativi di accesa misoginia e, nella galleria degli stereotipi femminili, emblematico è quello della donna colta raffigurata in modo dettagliato durante i banchetti. Le matrone non dovevano comportarsi come “femmes savantes” e non dovevano fare sfoggio della loro cultura, poiché il comportamento femminile doveva limitarsi ad una presenza discreta e mai invadente, senza alcuna ‘ostentazione’ di intelligenza.
Del resto Aristotele aveva già teorizzato nella “Politica” che l’uomo, dotato di ragione, è destinato per natura a comandare ed essere un cittadino con pieno diritto, mentre la donna e lo schiavo, sempre per natura, sono destinati ad obbedire; pertanto entrambi sono sotto la sua tutela e svolgono funzioni puramente materiali: la riproduzione (la donna) e il lavoro manuale (lo schiavo). Identikit della donna tràdito in quei documenti spesso anonimi, quali le iscrizioni funerarie, ma rivelatori della scala di valori d’una società. D.M.L.F. è l’iscrizione, in forma di acronimo, più diffusa e riassume incise sul marmo le doti esemplari della matrona: la riservatezza (“domi mansit”, restò sempre in casa), l’occupazione domestica che unica le si addiceva: filare e tessere (“lanam fecit”).
Canoni antichissimi, radicati nel subconscio della collettività e presenti anche in componimenti letterari nei secoli successivi. La storia delle donne è, dunque, la storia di un lungo silenzio e di una negata visibilità e vivibilità sociale; le divinità tutelari in Roma erano Angerona, che è imbavagliata, e Tacita Muta: nomi per converso molto eloquenti. Tanti diritti sono stati oggi conquistati finalmente dalle donne, ma il percorso verso una reale parità è ancora lungo e tortuoso. Non basta che le donne abbiamo mostrato di essere multitasking, di saper gestire la casa, prendersi cura dei figli, degli anziani e dei malati, svolgendo contemporaneamente una professione a tempo pieno; è sufficiente un qualsiasi periodo di ristagno economico, piuttosto che di incertezza sociale per far riemergere i fantasmi di ideologie reazionarie che emarginano la donna e la escludono dalla realtà lavorativa, di ricerca e studio.
I dati Istat relativi al 2020 rilevano che su 101mila nuovi disoccupati, 99mila sono donne. La pandemia ha allargato, infatti, il problema della disparità di genere; il Censis fino all’inizio del 2020 rilevava che le donne rappresentano circa il 42% degli occupati complessivi del paese e il tasso di attività femminile si piazzava al 56% circa, contro il 75% degli uomini. Stesso delta discriminante in politica: nel Parlamento italiano sul totale dei senatori solo 112 sono donne (il 35,11%), su quello dei deputati solo 227 (il 36,06%). Minoritaria la presenza femminile nei ruoli apicali anche degli Atenei: nel Focus “Le carriere femminili in ambito accademico, marzo 2021” pubblicato sul sito del MIUR (Ministero dell’Università e Ricerca) si legge che “il passaggio dalla formazione universitaria alla carriera accademica mostra che la presenza femminile diminuisce man mano che si sale la scala gerarchica: nel 2019 la percentuale di donne si attesta al 49,8% tra i titolari di assegni di ricerca (Grade D), al 46,9% tra i ricercatori universitari (Grade C), al 39,9% tra i professori associati (Grade B) e al 24,8% tra i professori ordinari”.
Non è accettabile, pertanto, restare solo colpiti ed indignarsi per la deriva antidemocratica dell’Ungheria di Orban, sarebbe necessario anche guardarsi un po’ intorno e cominciare insieme (uomini e donne, finalmente!) a lavorare per una società più giusta, basata su una reale meritocrazia, non certo determinata dal genere.
Adele Reale
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