NAPOLI – Con l’arrivo di fondi del Pnrrr, a Napoli si ricomincia a parlare del Real Albergo dei poveri, soprannominato il Serraglio per le funzioni relative anche ad una sorta di reclusione per coloro che dovevano scontare pene minori. Sembra che con la nuova giunta prenda vigore un interessamento a rinverdir antichi splendori da una cinquantina d’anni caduti nel dimenticatoio.
Carlo VII di Borbone nel 1749 nell’ambito del programma di rinnovamento edilizio chiamò Ferdinando Fuga per progettare l’Albergo dei Poveri che avrebbe dovuto accogliere le masse di derelitti di tutto il Regno. Il progetto rimase incompiuto tanto che l’attuale costruzione rappresenta solo un quinto del progetto iniziale. Ciò avvenne non solo per mancanza di fondi ma anche per un cambio di visione avvenuta con il successore di Carlo, suo figlio Ferdinando IV che decise di destinare solo una parte della struttura alle camerate e il resto alla produzione manifatturiera. Questa monumentale costruzione, il cui prospetto principale si affaccia su piazza Carlo III, rappresenta un luogo storico, in parte abbandonato, nel quale si sono succeduti avvenimenti per circa due secoli e mezzo, fondamentali per ricostruire, attraverso lo studio ed il recupero di documenti d’archivio, la storia, la politica e la società della città di Napoli.
Un edificio che rappresenta l’intelligenza architettonica di chi lo ha ideato, il cui scopo iniziale fu quello di ospitare circa ottomila ospiti indigenti divisi per età e sesso, togliendoli dalle strade. La sua iniziale funzione etico-sociale doveva essere rappresentata dal reimpiego dell’enorme potenziale di energie umane, specie giovanili, da trasformare da classe di “poveri” a quella di “artefici”. Purtroppo, i tragici avvenimenti del 1799 che portarono il Re a fuggire di nascosto con la sua famiglia posero fine al prosieguo dell’opera originaria e ne approvarono una ridozione nei costi che prevedeva un’immediata disponibilità di spazio utile: nuove officine per impiegare la pressante presenza di nuovi reclusi che dovevano apprendere un mestiere (da qui il soprannome “Serraglio”).
L’albergo nonostante racchiudesse un sistema produttivo artigianale o semi-artigianale, divenne un luogo di grande innovazione. Inoltre, la funzione dell’Albergo, fu caratterizzata dalla stretta connessione che si ebbe non senza difficoltà, tra i programmi di formazione dei giovani, la pratica di sistemi artigianali e l’uso di nuovi macchinari. In quest’ottica, fu introdotta all’interno dell’albergo la prestigiosa fabbrica di coralli del marsigliese Paolo Bartolomeo Martin, che oltre ai primari compiti e fini produttivi, ebbe anche quello della formazione e dell’avviamento all’arte della lavorazione del corallo dei giovani reclusi. Fu fondato all’interno del Real Albergo dei poveri anche un lanificio, impiegato all’inizio nella produzione d’indumenti militari, nel quale furono occupati circa trecento reclusi: molti ragazzi ciechi erano addetti al travaglio della lana.
L’azione di recupero, oggi ancora in atto di tale luogo storico di Napoli, non può e non deve prescindere da quanto sopra descritto: la storia della cultura artigianale partenopea. Ancora oggi questo edificio può essere destinato alla storia e alla salvaguardia “delle Arti della città”, all’interno del quale si sentono gli antichi rumori della produttività e se ne avverte la laboriosità, sostenendo un settore produttivo come quello artigianale, per il quale la cultura partenopea è conosciuta in tutti il mondo. Ultimamente si è fatta avanti l’ipotesi di trasferire all’interno dell’Albergo la biblioteca nazionale. Azione che ha portato a diverse critiche così come l’ipotesi di trasferirvi l’università. Tutte idee allettanti e in qualche modo utili al recupero dell’enorme stabile. Resta, purtroppo, la dura realtà fatta di occupazioni illegali, scempi e abusi edilizi di ogni genere.
L’opera di recupero dovrà necessariamente passare attraverso un’opera di bonifica a tutto spiano. A Palazzo Fuga dimora, in tutta la sua disperata potenza, la bellezza della distruzione. L’Albergo dei Poveri di piazza Carlo III, il monumento più grande d’Europa, travolge lo sguardo dell’osservatore. La sua maestosità ingombra gli occhi. E ingombra anche la mente, che prova intanto a spiegarsi il perché delle stanze distrutte, delle mura sfasciate, delle centinaia di lamiere delle auto in sosta, dei clochard, delle scritte delle baby-gang e dei residenti che occupano e abitano uno dei palazzi più prestigiosi del Vecchio Continente.
Il Real Albergo dei Poveri attende da 40 anni una ristrutturazione che potrebbe arrivare grazie ai 100 milioni di euro del Pnrr. Infatti è una delle opere inserite nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Nell’attesa che arrivino i fondi e si delinei il progetto, la struttura deve necessariamente essere tutelata. E questo, ahimè, smorza ogni speranza. In una realtà come quella locale quando si parla di investimenti, recuperi, fondi, soldi (come anche Bagnoli e ogni genere di potenzialità del territorio), bisogna fare i conti con ciò che Stato non è. Che legalità non è. Che onestà, diritto, normalità, trasparenza, giustizia non è.
Innocenzo Calzone
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