E’ l’inverno del 1946. La guerra è appena finita e l’Italia sta tentando faticosamente di rialzarsi. Non ci sono più bombardamenti, spari, scontri con i nazisti, morti e feriti; gli americani, che erano venuti a salvare l’Europa dal dominio hitleriano, restano a godersi il ruolo di liberatori, ma le ferite profonde sul tessuto sociale ed economico sono ancora tutte lì: si devono rimarginare, ma ci vuole tempo. Molto tempo e molta fatica.
A Napoli, la situazione è ancor più complicata, se è possibile. La città si è liberata con una ribellione popolare che ha costretto i tedeschi ad andar via. Restano le macerie. Resta la fame. Resta la miseria. Mettere insieme pranzo e cena è impresa impossibile; già inzuppare un tozzo di pane stantio in una ciotola di latte va più che bene in giorni in cui bisogna rubacchiare qualcosa ai mercatini o rovistare nei rifiuti per trovare qualcosa da mangiare. Amerigo Speranza ha otto anni e vive con la madre Antonietta; aveva un fratello, Luigi, morto a tre anni, che non ha mai conosciuto. E’ lui il protagonista de Il treno dei bambini, romanzo di Viola Ardone che ripercorre il doloroso e tormentato percorso di vita di quel bambino. In quei giorni freddi del ’46, il Partito comunista sta organizzando un’iniziativa per aiutare concretamente gli “scugnizzi” ed alleviare le fatiche quotidiane delle loro famiglie.
Si tratta di un treno speciale in cui centinaia di ragazzini partenopei partiranno per il Nord per essere affidati temporaneamente a nuclei familiari del posto che li ospiteranno per alcuni mesi. A preoccuparsi delle varie incombenze burocratiche è la signorina Maddalena Criscuolo, un’attivista del Pci napoletano. Mamma Antonietta aderisce, Amerigo non capisce, ma si adegua e parte assieme a tanti altri bambini, compresi gli amici del cuore Tommasino e Mariuccia. Nel Modenese è ospite di Derna, una sindacalista, ma lega soprattutto con la famiglia di Rosa e Alcide Benvenuti, cugini di Derna, con i loro figli Rivo, Luzio e Nario. Amerigo torna a scuola (che aveva abbandonato per lavorare e portare a casa qualcosa), riesce a mettere finalmente insieme pranzo e cena, e anche colazione e merenda: a casa sua, al rione Sanità, non gli era mai riuscito. I mesi passano in fretta e il piccoletto ormai ha pressoché dimenticato i vicini che erano stati il suo mondo: la Pachiochia, la Zandragliona e soprattutto Capa ‘e fierro, che gestisce un negozietto di abiti usati, che nasconde il caffè di contrabbando sotto il letto di Antonietta e che intrattiene rapporti piuttosto stretti (non solo di affari…) con la madre: “Quando ci sta lui, io me ne devo andare…“.
Amerigo non ha il papà: la mamma gli racconta continuamente che è dovuto andarsene a cercare fortuna in America e che, quando tornerà, sarà ricco e li tirerà fuori dalla miseria. A casa di Alcide, che lo considera un figlio, si affeziona fortemente alla nuova famiglia ed ha la possibilità di imparare a suonare il violino, la sua vera passione. Il momento del ritorno a Napoli è traumatico: non riesce ad abituarsi nuovamente alla vita che aveva sempre fatto. Alcuni suoi compagni (come Tommasino) sono tornati, altri (come Mariuccia) hanno scelto di restare al Nord. Lui è combattuto tra il desiderio di restare vicino ad Antonietta e la voglia di riavvicinarsi a quella che considera la sua vera famiglia. Amerigo ritorna da sua madre con la speranza di poter conciliare le sue due vite: la mamma e la famiglia di Modena, studiare e suonare il violino che gli ha regalato Alcide prima di partire. Ma Antonietta interrompe ogni contatto con la famiglia affidataria e vende il violino. Proprio questo traumatico episodio lo spinge a scappare e a rientrare con mille espedienti in Emilia. Rivede Napoli soltanto parecchi anni dopo per il funerale della madre. Ed è questa la circostanza che, attraverso un faticoso excursus interiore, gli permette di scoprire davvero le sue origini e la sua storia.
Il treno dei bambini è uno straordinario romanzo che, attraverso le vicende di un ragazzino di 8 anni (poi diventato violinista e apprezzato protagonista di concerti) ripercorre un pezzo della storia d’Italia, raccontata con gli occhi degli ultimi, dei dimenticati. Quell’eccezionale moto di solidarietà concretizzatosi in affidi temporanei fu una delle pagine più commoventi della rinascita italiana nel segno di una pacificazione e di una conciliazione tra Nord e Sud che mai si era concretamente realizzata (e che ancora oggi, per molti versi, fatica a realizzarsi). E’ una storia commovente di separazione e di condivisione, di partenze e di arrivi, di addii, abbracci, parole non dette, sentimenti profondi mai realmente esplicitati.
Viola Ardone (48 anni, insegnante di italiano e latino in un liceo) disegna una trama struggente e dolorosa che scalda il cuore attraverso un “viaggio” nella coscienza dei singoli che poi diventa inevitabilmente collettiva. Amerigo, al ritorno a Napoli per l’ultimo saluto alla madre, ritrova le persone che aveva lasciato: Maddalena, e poi Tommasino (diventato nel frattempo giudice del Tribunale dei Minori), e poi la Pachiochia, la Zandragliona e Capa ‘e fierro... Ma ritrova essenzialmente se stesso. Perché, a volte, bisogna rinunciare a tutto, persino all’amore di una madre, per scoprire il nostro destino.
Buona domenica.
Un approfondimento sul romanzo che spero potrà interessare: https://giorinaldi.com/2020/12/03/chi-e-amerigo-de-il-treno-dei-bambini-di-viola-ardone/