MILANO – Solcare i mari del Mediterraneo, approdare sulla penisola italica, costruire pòleis e dare forma all’arte. E’ quanto accaduto nella seconda metà del IV sec. a.C., e con più sicurezza dal II sec., in quella che è conosciuta come Μεγάλη ῾Ελλάς (Magna Grecia), ossia il complesso delle colonie greche dell’Italia meridionale peninsulare. Italioti è il nome che acquisirono proprio i Greci trasferitisi stabilmente in quelle colonie, i quali attribuirono il nome Magna Grecia alla prosperità della regione al tempo dei pitagorici o dei coloni achei, in contrapposizione all’angusta madrepatria. La pòleis greca prevedeva città-Stato organizzate su sistemi oligarchici sviluppatisi spesso in tirannie; attività prevalenti agricoltura e commercio, in alcuni casi artigianato, e dalla metà del VI sec. con una monetazione propria.
Alcune colonie esercitarono per qualche tempo un’egemonia politica ed economica sulle altre (Sibari verso il 550 a.C.; Crotone nel 500 circa; Taranto nel V e IV sec. a.C.); spesso si formarono confederazioni di città in funzione economica o difensiva. Dalla fine del V sec. in poi, mentre Taranto si affermava come massima potenza nelle frequenti contese tra le città italiote, si profilava il pericolo delle popolazioni indigene (Sanniti, Lucani, Bruzi) che dall’interno premevano verso il mare entrando in conflitto con le colonie greche.
In un viaggio ideale, si potrebbe partire dalle coste (dove i primi greci approdarono) di Pitecusa (odierna Ischia) e Cuma, in Campania, fondate tra il 775 e il 760 a.C. dagli abitanti di Calcide e di Eretria, le due più importanti poleis dell’Eubea, che crearono anche Zankle (chiamata poi Messina), Nasso, Leontini e Catania nella Sicilia orientale. I Corinti fondarono Selinunte e Siracusa (773 a.C.), quest’ultima destinata a diventare qualche secolo dopo la più fiorente città del mondo greco; Cretesi e Rodii diedero vita a Gela (688 a.C.), nella Sicilia meridionale, la quale fondò a sua volta, nel 580 a.C., Agrigento. Gli Achei dell’Acaia fondarono Sibari, Metaponto e Crotone, mentre Taranto fu l’unica colonia fondata dagli Spartani.
Cuma è la più antica colonia greca d’Occidente, strettamente legata al mito della Sibilla Cumana, fu un centro ricco e di grande prestigio nel mondo antico: da qui la cultura greca si diffuse lungo tutta la penisola italiana portando l’alfabeto calcidese assimilato dagli Etruschi e dai Latini. Inoltre a Cuma, vi è l’Antro della Sibilla Cumana, accessibile da un piccolo piazzale sulla sinistra. Secondo la leggenda il dio Apollo era follemente innamorato di Sibilla, una giovane donna ed offrì in cambio qualunque cosa pur di averla come sua sacerdotessa: ella chiese l’immortalità, non pensando però di chiedere anche la giovinezza eterna. Man mano che invecchiava il suo corpo divenne sempre più piccolo finché non fu messa in una gabbietta nel tempio di Apollo dove sparì del tutto e di lei rimase solo la voce. Sempre la leggenda narra che in questo antro Enea venne a interrogare proprio l’oracolo della Sibilla cumana e questo lo rende meta di grande interesse turistico.
Quando iniziarono gli scontri fra Roma e Taranto, per la supremazia nel meridione d’Italia, la città di Heraclea vide nel 280 a.C. una delle più importanti vittorie di Pirro contro i Romani, grazie all’utilizzo di elefanti da guerra. La città divenne confederata della Repubblica di Roma nel 272. Subì il saccheggio di Annibale e Spartaco e così perse progressivamente di importanza. Himera, invece, fu dimora di cittadini illustri e venne citata anche da Cicerone nelle sue Verrine. Gli Italioti svilupparono una prestigiosa civiltà con peculiarità proprie derivanti sia dalla lontananza dai centri della cultura ellenica e sia dagli influssi indigeni: tracce di tradizioni indigene sono state individuate in taluni aspetti dei culti, delle istituzioni, della filosofia, dell’arte. Notevole la fama conseguita nella speculazione filosofica dalla scuola eleatica di Velia (sulla costa tirrenica) con Parmenide, e nello sviluppo di dottrine fisiche, matematiche e mediche.
Nell’architettura è prevalente l’influsso dell’ordine dorico, spicca l’uso di terrecotte decorative, soprattutto nella scultura. Un problema preliminare, per quanto riguarda la definizione dei caratteri della scultura magnogreca in marmo, è quello della distinzione tra prodotti locali e oggetti d’importazione. Pare che i prodotti in serie giungessero già lavorati dalla Grecia, dalle cui isole proveniva la materia prima, il marmo, mentre per prodotti non in serie e di grandi pretese artistiche è possibile postulare una elaborazione magnogreca. Una fiorente produzione locale è da riconoscere nell’ambito della scultura in calcare e in terracotta (Metaponto, Taranto, Locri, Caulonia, Medma). Caratteristica dell’arte della Magna Grecia è anche la ricca produzione in bronzo: vasi di probabile origine tarantina, specchi locresi, Zeus (scoperto a Ugento, in provincia di Lecce); sono invece probabilmente di provenienza greca le due statue bronzee del V sec. a.C. rinvenute al largo di Riace, tra Locri e Punta Stilo, visitabili presso il Museo Archeologico di Reggio Calabria.
Accanto alle officine dei bronzisti, a Taranto fiorirono anche quelle degli orefici e degli argentieri. La ceramica produsse forme alquanto autonome da quelle della madrepatria, cui succedettero prodotti della ceramica apula, lucana, pestana e campana, come risposta di notevole originalità dell’ambiente indigeno. Per la pittura, offrono importanti elementi le immagini funerarie di Paestum e di altri centri della Campania. Ovviamente il viaggio continua virando sempre più a sud fino a giungere nell’estremitá della costa orientale della Sicilia.
Oltre alle colonie insediate nell’Italia meridionale e in Sicilia, i Greci fondarono nuove poleis intorno al Bosforo e al mar Nero, sulle coste francesi, spagnole, africane e sulle coste settentrionali dell’Egeo, lasciando una preziosa eredità.
Claudia Gaetani
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