“Diamo fastidio perché costiamo, perché siamo una spesa medica e sociale, perché prendiamo le pensioni, perché occupiamo posti negli ospedali…”. Già, loro sono un costo per la società attuale e hanno il torto di non essere più produttivi. Danno lavoro soltanto a medici, badanti, industrie farmaceutiche. Occupano esclusivamente la casella del passivo. “Quando fummo diventati vecchi e inutilmente saggi”, fa dire Tomasi di Lampedusa al principe di Salina. La saggezza dell’esperienza non serve più: gli anziani sono sempre fuori tempo massimo, come ciclisti attardati dalle salite ad una tappa del Giro d’Italia. I loro consigli restano sospesi e quasi mai ascoltati, meglio affidarsi ai banditori della tv, agli “influencer”, ai “tiktoker” che impazzano sul web, ai ciarlatani capaci solo di urlare e insultare e mai di argomentare.
“I vecchi hanno solo un diritto: quello di morire”. Affermazione devastante, ma in larga misura terribilmente vera. La società del XXI secolo (ma anche quella degli ultimi spiccioli di quello precedente) tende ad emarginare, anzi a ghettizzare le persone che hanno superato la soglia che si può fissare intorno agli 85 anni, cioè quel tempo in cui le malattie e gli acciacchi si fanno sentire di più, limitando e talvolta addirittura annullando l’autonomia fisica e mentale. L’aumento dell’età media ha generato problemi sociali di una certa importanza: in passato si moriva prima (è un dato di fatto) e dunque tante problematiche non si presentavano. Da tempo, non è più così con la conseguenza che gli anziani della cosiddetta quarta età sono diventati un peso. “Il vecchietto dove lo metto” cantava con ironia e una forte dose di amarezza il grande Domenico Modugno.
“A parole ci vezzeggiano, ma poi ci mettono nelle RSA, prima di metterci nella tomba”. E anche questo è vergognosamente vero. In passato, madri e padri convivevano con qualche parente più stretto e la loro esistenza terrena si concludeva serenamente con l’aiuto, il sostegno e l’affetto dei figli e dei nipoti. E’ evidente che da tempo questo meccanismo si è inceppato: non c’è tempo e non c’è spazio per occuparsi di pannoloni, deambulatori, carrozzine. Ma soprattutto non c’è voglia di curare e soddisfare bisogni grandi e piccoli, persino quelli più elementari e primari. Meglio preoccuparsi di apericene, vacanze, week end più o meno lunghi… E in questo taccuino densissimo di “impegni” improrogabili, quante occasioni restano per pensare davvero ai nostri cari?
“Abbiamo solo il diritto di morire? Potrei dire che chi l’ha detto è un cretino, ma invece dirò che è stato utile: ha rotto una ipocrisia”. Quanta falsa compassione, quanti sorrisi forzati, quante carezze pelose, quanti gesti inutili (perché fatti senza cuore) e quante parole vuote (perché dette senz’anima)… Ecco, l’odierna società è stata capace di azzerare il patrimonio di certezze che ci avevano trasmesso padri e nonni: la democrazia, la libertà, il lavoro, lo studio, la salute, un certo benessere. No alla guerra. Una vera parità di genere. Un mondo pulito… Siamo davvero sicuri di poter trasmettere a figli e nipoti queste ricchezze?
A proposito, le frasi virgolettate sono di Natalia Aspesi (93 anni da compiere il prossimo 24 giugno), giornalista brillante e schietta, abituata da sempre a dire ciò che pensa, anche se è scomodo e controcorrente.
Buona domenica.
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