ROMA – Primo Maggio: niente da festeggiare. Rosso Malpelo, i minatori di Marcinelle, gli operai della Thissen Krupp: la lista è lunga sia nei libri che nella cronaca. Non sono serviti nè i capolavori della letteratura né le terribili notizie a fermare una strage continua. Chi ha perso la vita senza che ci sia un responsabile – come si ritiene per chi rimane vittima di morte bianca– viene celebrato nell’immediato, ma poi la solidarietà si spegne, il clamore si dilegua, permane lo status quo. Rimangono i familiari a dover far fronte ad un evento ingiusto: chi perde la vita mentre lavora, più che guadagnarsi il pane, stava arricchendo con la propria fatica il capitale di qualcun altro. E’ storia.
I caduti sul lavoro sono stati e sono più numerosi di quelli di tante guerre, da sempre. E allora una riflessione su questa festa che si ripete da più di un secolo andrà fatta per comprenderne a fondo il significato, che non finisce con il concertone a San Giovanni né con il pic nic sui prati e che va ricordato in quanto giornata simbolo di un problema atavico: quello che riguarda il rapporto servo-padrone. Tutto iniziò a Chicago il 1 maggio del 1886, con la protesta di un gruppo di lavoratori che chiedevano la riduzione dell’orario di lavoro da 12 a 8 ore. Durante la manifestazione la polizia uccise tre di loro e nei disordini si registrarono diversi feriti. La rabbia dei manifestanti fomentò l’indignazione popolare. Molti cittadini si unirono alla protesta che, giorno dopo giorno, diventò sempre più violenta causando ancora morti nel tentativo di repressione della polizia.
Ci furono arresti e condanne per quanto accaduto e fu così che l’eco della protesta e delle violenze contro gli operai ma anche le accuse ingiuste nei loro confronti si sentirono in tutto il mondo e i lavoratori condannati passarono alla storia come i “martiri di Chicago”. Fu così che la festa del Primo Maggio divenne ufficiale in tutta Europa dal 1889 durante i lavori della Seconda internazionale che si svolse a Parigi per coordinare i sindacati e i partiti operai. In Italia la festa si celebra da due anni dopo. Essa nacque, dunque, come simbolo delle rivendicazioni degli operai che in quel periodo lottavano per avere orari meno duri e condizioni di lavoro più umane.
Oggi, al di là della forma, le condizioni di lavoro per molti sono ancora precarie ed inaccettabili. In nome di un guadagno al netto delle spese, molti imprenditori specialmente nell’edilizia, dirigono le operazioni in condizioni di sicurezza precarie o inesistenti, assumono personale privo di formazione e tutto questo può essere una causa di morte sul lavoro. Non sono, quindi, bianche le morti che ogni anno si contano nel mondo. L’espressione è frutto di una manipolazione ed ormai si usa senza chiedersi il perché. Quelle morti sarebbero bianche se veramente non avessero un responsabile, ma il fatto è che questo c’è e si identifica con leggi non applicate, una burocrazia farraginosa, la corsa al guadagno e la corruzione. Si parla di 2 milioni di vittime ogni anno nel mondo, delle quali 12 mila bambini. In Italia, dal 2018 al 2021 le vittime sono state 4713, nei primi mesi del 2022 se ne contano già 189 (e il numero tende tragicamente ad aumentare).
Quello della vita è un sacrificio che non è servito a nessuno perché morire di lavoro è ancora un rischio che si corre facilmente. Incidenti, tragedie, infortuni sono diventati così comuni che oramai sembrano far parte della normalità invece non è così. Nel lavoro si deve esprimere la dignità dell’uomo, non la sua umiliazione e quindi si può pretendere di più. C’è ancora tanto lavoro da fare.
Buon Primo Maggio.
Gloria Zarletti
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