Focacce, pane, scodelle ricolme di miele e l’immancabile latte. Ecco lo ientaculum, la prima colazione degli antichi romani, almeno dei cosiddetti aristocratici, quelli che se lo potevano permettere. Gli altri, i poveri, si dovevano accontentare del poco che avevano a disposizione e non sempre era sufficiente.
Chi può trova sulla tavola anche frutta, formaggio e pane da intingere nel vino. I più fortunati mangiano anche la carne e non è raro trovare nel piatto gli avanzi (sempre che ci siano) del giorno prima. Ma nella prima colazione dei romani mancano due elementi che per noi oggi sono fondamentali: il caffè e la cioccolata. Il primo verrà scoperto qualche secolo dopo sull’altopiano etiopico da alcuni eremiti che ne apprezzeranno la capacità dell’infuso di tenere svegli durante le preghiere e le meditazioni notturne. Ma la sua più ampia conoscenza arriverà nel Medioevo e nel Rinascimento e soprattutto nel mondo islamico. Per tanti anni uno dei principali porti di partenza dei sacchi di caffè è stato quello di Mokha, sul Mar Rosso, un nome che ancor oggi parla del caffè.
Per la cioccolata bisognerà aspettare la scoperta dell’America dove i primi esploratori del Nuovo Mondo troveranno la pianta del cacao. Seppure questa, la bevanda ottenuta dai semi, ha un sapore così amaro da non venire per niente apprezzata. Solo diversi secoli dopo, mescolando il cacao allo zucchero e ad altri tipi di aromi, si otterrà quella che oggi chiamiamo cioccolata.
Lo ientaculum, la prima colazione, è il pasto forte degli antichi romani mentre il pranzo (prandium) risulta assai più frugale e appare quasi uno spuntino che consente di arrivare con la giusta fame alla cena. Uno spuntino consumato in una taberna vinaria dove si beve vino e si mangiano cose semplici, in piedi e di corsa. Un po’ come avviene ai nostri tempi nei diffusissimi bar. Nelle popine, invece, più simili a ristoranti, si può mangiare all’esterno del locale, seduti su un bancone posto lungo il muro.
La cena per i Romani è un appuntamento che si svolge nel pomeriggio, quando ancora il sole illumina la città e i suoi abitanti. Perché così presto? Per due motivi principali, il primo ovviamente è la mancanza di un’adeguata illuminazione che rende ogni operazione più complicata (l’elettricità è fantascienza) e impone di tornare a casa prima che le strade diventino buie e pericolose. Il secondo è di carattere più fisiologico. Tre pasti al giorno, la lauta colazione e un pranzo frugal:e è quindi ovvio che la fame arrivi nel pomeriggio.
Come si mangiava nell’antica Roma a cena? Molto frequenti i banchetti ma solo per chi se lo poteva permettere. E va comunque detto che i romani, almeno la maggior parte, erano persone semplici che mangiavano poco, la sobrietà è una regola. Potevano trasgredire solo i ricchi, cioè i patrizi, i potenti della politica e della finanza. Cene fastose, insomma, ma solo per una piccola percentuale di persone. Il 90 per cento dei romani si doveva accontentare di un pasto molto più semplice.
Nei banchetti dei ricchi si mangia di tutto, dalle ostriche alla carne di ghiro e di fenicottero, dalla vulva di scrofa alle lingue di airone al miele e poi l’immancabile cinghiale, le aragoste farcite al caviale e la murena affogata in salsa calda.
Va detto che i romani curavano molto la propria persona, in particolar modo l’alito e i denti. Per l’alito esistevano già delle pastiglie aromatizzate mentre per i denti la faccenda diventava più complessa. A tavola usavano degli stuzzicadenti grandi come forchette e spesso erano d’argento. A quell’epoca esistevano già i dentifrici a base di bicarbonato di sodio ma c’era chi preferiva un modo assai più sconcertante per tenere puliti i denti, lavarseli con l’urina. Tecnica (pare) assai diffusa in Spagna e Nordafrica.
Il suo commento è spocchioso e fuori luogo. L’articolo è di oltre un anno e mezzo fa e adesso scopre che è “superficiale e impreciso”? Senza naturalmente chiarire perché. E questo è indice di arroganza intellettuale.