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La “Festa campestre” di Guido Reni alla Galleria Borghese

di | 2022-03-17T20:31:35+01:00 20-3-2022 6:25|Arte, Sezione 6|0 Commenti

ROMA – Torna nella casa paterna, nella Galleria Borghese di Roma, la “Festa campestre” di Guido Reni, il pittore classicista ma innamorato del Caravaggio: questa sua opera decisamente paesaggistica, creata sulla scia dei Nicolò dell’Abate, di Paul Brill, del Viola, del Domenichino, dell’Albani, notoriamente commissionata al Reni da Scipione Borghese all’inizio del soggiorno romano del pittore, è oggi definitivamente di proprietà della Galleria Borghese, che la propone al pubblico nella mostra “Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura” (1 marzo – 22 maggio 2022, catalogo Marsilio a cura di Francesca Cappelletti, direttrice della Galleria). La mostra è ubicata nel palazzo secentesco fatto costruire dallo stesso cardinal Scipione, nel piazzale che porta il suo nome. Più proprietà di così…

Atalanta e Ippomene (1615-18) esposta al Museo Capodimonte

Eppure di questa tela dipinta a olio nel 1605-06, si persero le tracce in seguito, sino alla mostra di Londra del 2008, da cui nacquero gli studi che ne identificarono l’autore (specie grazie a precisi riscontri sui cataloghi delle proprietà del Cardinal Scipione Borghese). Quindi, dopo l’acquisizione del quadro da parte della Galleria Fondantico di Bologna, seguì l’acquisto definitivo della Galleria Borghese nel 2020. Il dipinto arricchisce un genere, il paesaggismo, meno praticato dal Reni, pittore di personaggi aulici, storici o dell’area del sacro, in modalità quasi scultoree che guardano all’antico e a Raffaello – come nella “Strage degli innocenti” (la donna in fuga col bambino) della Pinacoteca di Bologna, o come nel ”Martirio di S.Cecilia”(Roma, S.Cecilia in Trastevere), in cui la santa alza le braccia nella tipologia dell’Orante paleocristiana, vista negli affreschi del portico: né però del Reni manca lo straordinario “innamoramento” per il Caravaggio, ad esempio nel “David con la testa di Golia” (dagli Uffizi di Firenze), ispirata a un’iconografia molto frequentata dal pittore maledetto, che nella testa mozza vedeva se stesso, condannato alla decapitazione per omicidio dal Vaticano.

Paolina Borghese di Canova

Tante (ben 31 infatti) sono le opere del Reni e dei suoi contemporanei, che a lui hanno guardato, o a cui egli si è ispirato, come le summenzionate tele per l’ideazione della “Festa campestre”. Qui, vediamo un Reni paesaggista, puntuale come un verista del tardo Ottocento, che fa inchinare verso una fiasca il suonatore di liuto, per calmare la sua sete, che insiste sul timido invito al ballo del cacciatore verso una dama, infine sugli infiniti orizzonti boscosi, lacustri, rupestri, ove per poco “il cor non si spaura”. Ma più si spaura per il capolavoro assoluto della grandezza del Reni (il quadro è giunto dal Museo di Capodimonte a Napoli): “Atalanta e Ippomene” del 1618. I due stupefacenti nudi, lanciati – avvolti in una luce lunare – entro uno spazio teatralmente scurito, in cui Atalanta si china a raccogliere i pomi d’oro che le faranno perdere la gara di corsa con Ippomene, sono la quintessenza dell’astrale perfezione formale e artistica, di cui secoli di osservatori e critici d’arte hanno circondato la pittura di Guido Reni, gloria d’Italia.

Paola Pariset

Nell’immagine di copertina, “Festa campestre”, olio su tela di Guido Reni

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