VITERBO – È da poco passata una data importante: l’8 marzo, giornata internazionale delle donne. Giornata e non festa perché la stessa celebra i progressi in ambito economico, politico e culturale raggiunti dalle donne di tutto il mondo. Tale riconoscimento si basa su un principio universale che prescinde da divisioni etniche, linguistiche, culturali, economiche o politiche. Internazionale perché le lotte per l’emancipazione della donna non riguardano solo una nazione ma tutti gli stati, superano i confini, si rincorrono da un capo all’altro del mondo destinate come sono a diventare, nel tempo, patrimonio comune del genere femminile.
Delle donne perché sono loro che hanno portato avanti, coraggiosamente, lotte senza tempo e senza età. Senza tempo perché, nel corso dei secoli, molte di loro hanno combattuto e si sono esposte in prima persona per affermare i propri e gli altrui diritti e senza età perché in qualsiasi stagione della vita si può prendere coscienza delle propria dignità di persona e del diritto che la stessa sia riconosciuta e rispettata in quanto tale senza subire pressioni o prevaricazioni di genere, di etnia, di cultura o di religione.
Ogni anno, in questa ricorrenza, viene spontaneo ricordare figure femminili del passato alle quali va oggi tutta la nostra riconoscenza: donne che, nel corso del tempo, hanno avuto la forza, il coraggio e la determinazione di infrangere schemi o regole che relegavano l’universo femminile ad un ruolo minoritario e subalterno rispetto a quello maschile. È anche grazie a loro se oggi tutte noi partecipiamo alla vita politica, se abbiamo diritto all’istruzione, se siamo entrate a fare parte del mondo del lavoro, se abbiamo il diritto di gestire la nostra femminilità, se non siamo più schiave di matrimoni infelici ma indissolubili e soprattutto se abbiamo il diritto di decidere della nostra vita.
Ma, nonostante molti progressi siano stati fatti, molte ragazze e donne nel mondo continuano ad essere vittime di violenze o discriminazioni.
Anche in Italia la violenza sulle donne non è retaggio del passato anzi, purtroppo, i fatti di cronaca nera all’ordine del giorno come violenze domestiche, stalking, stupri e femminicidi, ne sono la tragica conferma. Evidentemente ancora oggi una minoranza di uomini considera la donna come un oggetto da possedere o da usare a loro esclusivo piacimento o da prevaricare in una impari manifestazione di forza.
Colpiscono l’opinione pubblica e fanno riflettere sentenze che riducono le pene ad uomini che si sono macchiati del reato di femminicidio, adducendo motivazioni che lasciano a dir poco perplessi, così come fanno riflettere gli omicidi di donne da parte di mariti, fidanzati, compagni che sono quasi all’ordine del giorno o gli stupri che ormai accadono quasi alla luce del sole ed in posti intensamente frequentati, al punto tale da farci comprendere che ci troviamo di fronte ad un problema che sembra crescere giorno dopo giorno, di non facile soluzione e di drammatica attualità.
Non tutte le donne hanno la forza ed il coraggio di denunciare le violenze subite ma alcune di loro ce l’hanno fatta. Le esponenti del movimento “me too” hanno avuto il coraggio di denunciare e condannare pubblicamente le violenze sessuali subite dalle donne in generale e da molte di loro in particolare soprattutto in ambito lavorativo, violenza che è stata, prima che fisica, soprattutto psicologica. È notizia recentissima, a tal proposito, che un’esponente politica americana, una ex top gun della marina militare statunitense, Martha McSally, 52 anni, attualmente senatrice del partito repubblicano, ha testimoniato in un’udienza tenutasi presso il Senato Usa, dichiarando di essere stata stuprata durante la vita militare da alcuni colleghi fra cui un suo superiore. Ed è proprio a causa di queste orribili esperienze che ha deciso di dedicare la sua attività pubblica a favore delle donne, riuscendo così a trovare anche la forza ed il coraggio di denunciare pubblicamente episodi intimi e dolorosi della sua vita privata.
Sembrerebbe a questo punto che la strada da percorrere sia ancora in salita e, sotto certi aspetti, è proprio così ma appare evidentemente che è una battaglia che va combattuta non solo con la sforzo di poche ma con l’impegno di tutti.
La famiglia, la scuola e la politica dovrebbero concorrere ad educare e a sensibilizzare le nuove generazioni al rispetto della persona insegnando che reati come lo stalking, gli abusi sessuali, le violenze domestiche e i femminicidi sono generati dall’ignoranza, dalla violenza ma soprattutto dalla mancanza di rispetto verso la persona nell’ambito della sua individualità e libertà.
Probabilmente anche le donne dovrebbero acquisire una maggiore consapevolezza rispetto al fatto che l’amore non è mai violenza, non è possesso, non è prevaricazione e, soprattutto, non è accettazione passiva del ruolo di vittime. In ogni città ci sono centri antiviolenza che garantiscono un’assistenza legale e psicologica alle donne vittime di abusi aiutandole, fra l’altro, a denunciare, senza vergogna o paura, gli episodi criminosi alle autorità competenti. Torna in mente, a tal proposito, un breve romanzo quasi un racconto: poche pagine, ben strutturate che affrontano il cuore del problema. Il titolo è significativo: “Il silenzio deve tacere”, l’autrice è Amalia Bonagura.
Fra un anno ci sarà un altro 8 marzo, altre celebrazioni, altri bilanci, altri manifestazioni ma soprattutto una speranza che le cronache e le statistiche dimostrino che i reati di violenza nei confronti delle donne sono nettamente in calo. Solo così avremmo vinto tutti una grande battaglia di civiltà.
Silvia Fornari
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